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Ynis Afallach Tuath

SANTE, DEE, EROINE E SAGGE DONNE: il calendario al femminile. GENNAIO
Martedì, 05 Gennaio 2010 - 09:25 - 3482 Letture
Lunologia LUNA DI GENNAIO: ISIDE DEA DELLA LUNA

Gennaio è il mese d’inizio anno per il nostro calendario solare e il nome stesso del mese ricorda un dio maschile Ianus( Giano), dio preposto nel pantheon romano a tutti gli inizi.

Ma nonostante questo chiaro indizio che il nostro tempo è costruito su un modello maschile, è la grande Dea a dare al primo giorno dell’anno e a tutto il mese di gennaio quella impronta forte e sacra collegata alla rinascita. Il primo gennaio è infatti dedicato alla Vergine Maria nelle sue vesti di Madonna Nera, la Nera Notte, madre degli dei e degli uomini, simbolo di generazione e di fecondità. Il nero allude al grembo della Grande Madre arcaica che continuamente generava e accoglieva in sé gli esseri nell’eterno ciclo di morti e di rinascite e che nell’hibernus, il freddo inverno, protegge i semi che nasceranno a primavera. Anche la Befana, che appare la dodicesima notte dopo Natale alla fine del periodo di transizione fra vecchio e nuovo anno, è un immagine di Madre Natura che offre doni prima di rigenerarsi nel fuoco del falò.

Le grandi divinità orientali e mediterranee sono ormai scomparse sostituite da figure più familiari come quelle delle sante cristiane, ma si conservano nella tradizione molti attributi, caratteri e azioni di entità divine molto più antiche. Quest’anno ne prenderemo in considerazione alcune, partendo dalla grande dea dalle braccia alate, Iside la dea della luna.
Iside in Egitto, Ishtar in Babilonia, Inanna presso i Sumeri, Astarte per gli Ebrei, tanti sono i nomi che questa dea assume poiché è una complessa immagine delle molteplici potenzialità del genere femminile. Essa era la madre dal seno generoso, era la guerriera eternamente vergine, era la prostituta, era la giudice e consigliera, era la vecchia saggia onorata dalle donne accanto al focolare.
In lei le donne si riconoscevano e le preghiere a lei rivolte erano profonde come profondo era il grembo, simbolo della vita stessa. Iside non solo reggeva la luna ma era anche la padrona delle stelle del mattino e della sera, alternativamente battagliera o amante del piacere.
Presso i Sumeri essa era Dilbah, la stella del mattino, armata di tutto punto e condottiera del suo carro trainato da sette leoni sul quale usciva all’alba a caccia di animali o umani. Come stella della sera diventava Zib, servita al tempio da donne che adoravano “la dea dagli occhi colmi di desiderio, dai sospiri amorosi, che porta il maschio alla femmina e la femmina al maschio, la dea dal canto più dolce del miele e del vino, più dolce dei germogli e delle piante, superiore anche alla pura panna”. Talora queste due energie si combinavano in un'unica figura di una sessualità pericolosa: così l’eroe sumero Gilgamesh respinse la dea, sostenendo che i suoi amanti venivano annientati, ma poi si ammalò gravemente, quasi in un’autopunizione del suo stesso corpo, a significare che chi nega il sesso nega la vita.
Iside compare come Astarte o Ashtoreth (“utero”) nel Nuovo Testamento, un nome formato inserendo delle vocali in modo da ottenere un’espressione che significa “qualcosa di vergognoso”, riferendosi alla sessualità disinibita della dea, una di quelle che sceglievano i propri compagni di piacere invece che essere passivamente scelta. La religione patriarcale degli Ebrei non poteva accettare questa libertà femminile e trasmise questo tabù anche alla nascente religione cristiana, nonostante Gesù avesse in tutti i modi cercato di portare equità e dignità alle donne che avevano vissuto con lui.

E’ per questo che troviamo nel calendario del mese di gennaio una santa martire, S.Agnese da Roma, che ricorda a tutti come la castità e la verginità siano valori fondamentali da contrapporre alla facile concupiscenza delle dee primordiali.
E’ interessante notare che molte martiri della prima cristianità (Margherita di Antiochia, Orsola, Caterina, Fede, Dorotea, Barbara e molte altre) uniscono l’ideale del martirio con quello della verginità, diventando un efficace simbolo educativo per tutte le giovani donne.
Devono convincerci fin da piccole che non c’è possibilità di vivere libere (o il matrimonio o il convento), l’idea di vivere una sessualità libera e autonoma, di essere cioè “padrone di sé stesse” è stato fin dagli inizi scoraggiato, pena la morte, come vedremo nella storia di Agnese.
Il nome stesso della giovanetta significa “casta” e la storia racconta che era tredicenne e bellissima quando rifiutò di sposarsi con numerosi pretendenti alla sua mano, dichiarando che il suo unico sposo era Cristo. Questo è un chiaro messaggio: non puoi non sposarti e dedicare la tua vita alla tua realizzazione spirituale, soprattutto non puoi deciderlo da sola!
Agnese venne portata davanti al giudice che la mise al rogo, ma le fiamme si divisero lasciandola incolume. Di fronte alla sua insistenza a dire no (una vera ribelle questa Agnese…) venne esposta nuda in un postribolo, come estremo insulto alla sua seducente ma inattaccabile verginità. Immaginiamo questa bambina di tredici anni alla quale non viene risparmiato il sentirsi come una prostituta solo perché voleva fare una scelta di libertà… L’intervento di Dio (o meglio della Dea ) è di far crescere i capelli di Agnese all’istante per coprire le sue nudità. Ma ciò non le fece scampare la morte che avvenne per decapitazione, cervicem inflexit “chinò il collo” e la sua anima lasciò il suo corpo così disprezzato dagli uomini. Agnese viene rappresentata con in mano un ramo di palma, albero egiziano come Iside, simbolo di resurrezione e immortalità, di fecondità e vittoria, sacra alla Grande Dea.

La verginità rappresentava il potere di tenere il proprio corpo per sé stesse fino a quando non si era pronte per incontrare il proprio compagno, nella libera scelta che non dovrebbe essere preclusa a nessun essere vivente. L’antica spiritualità matriarcale teneva in gran conto questa libertà, base di partenza per ogni scelta sana, che considera il corpo come sacro e fonte di potere.

Dice Clarissa Pinkola Estes nel suo (ormai mitico) “Donne che corrono con i lupi”:- Il corpo è come la Terra. Un territorio vulnerabile agli eccessi…il cui fine è quello di proteggere, contenere, sostenere e infiammare lo spirito e l’anima che alberga, di essere un deposito per la memoria, di colmarci di sentimenti, cioè del supremo nutrimento psichico. E’ un grave errore pensarlo come un luogo da abbandonare per elevarsi verso lo spirito. Senza il corpo non ci sarebbero le sensazioni. Non sarebbe possibile varcare una soglia, né elevarsi, né essere senza peso. E’ il corpo il dispositivo di lancio del missile dal quale l’anima osserva la misteriosa notte stellata e ne resta abbagliata-.
Il potere del corpo femminile possiamo vederlo ancor oggi, utilizzato per pubblicizzare e attrarre la nostra attenzione su qualsiasi prodotto messo in vendita, svilito e abusato accanto ad automobili e dentifrici, tanto da indurre le nostre adolescenti a negarlo in una rischiosa sfida con il cibo, fino a ridursi ad una magrezza tale da non poter più dirsi donne, annullando ciclo mestruale e desiderio sessuale. Come Agnese le nostre bambine (purtroppo l’anoressia viene riscontrata in età sempre più precoce) preferiscono la morte alla perdita del potere di scelta e di libertà, come l’animale preso in trappola preferisce uccidersi che vivere in schiavitù…
La Grande Dea portatrice di vita ha da sempre aiutato noi donne a vivere la nostra vita in bellezza e pienezza. Negli ultimi giorni di gennaio troviamo il ricordo di un antico rito, dedicato proprio alle bambine: nel tempio della dea Artemide, un altro dei nomi di Iside, si raccoglievano le piccole tra i cinque e i dieci anni, che erano chiamate “orse”. Esse danzavano nude intorno alla dea in una danza circolare e nessun uomo poteva assistere. Nel cielo splendeva la luna piena e i loro corpi ancora senza segni di pubertà venivano massaggiati con un unguento che li rendeva luminosi ai raggi lunari. Intorno tutte le donne le onoravano, le guerriere percuotevano i loro scudi e tutte battevano i piedi a terra abbandonandosi alla gioia di vivere. Alle bambine veniva dato un messaggio positivo riguardo al loro corpo, che non era considerato sporco o malvagio, ma bello e sacro, un tempio per lo spirito libero che esse erano. Uno dei popoli che mantenne per molto tempo questa tradizione fu quello dei Celti che onorava la dea Artio, una grande dea dalla natura selvaggia che appariva sotto forma di un orsa. Poi il cristianesimo diede all’orso un significato di malvagità e crudeltà annullando il potere benevolo delle antiche tradizioni.

Note: (a cura di Elys)
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