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Ynis Afallach Tuath

ORSO
Venerdì, 01 Aprile 2011 - 11:24 - 1974 Letture
L’orso, spesso associato all’immagine del letargo, è l’animale che rappresenta per eccellenza le energie della natura che si assopiscono d’inverno per poi risvegliarsi, esplodendo, in primavera. Pensiamo, ad esempio, ai cosiddetti “balli dell’orso” che nell’antichità erano legati al periodo di Imbolc e che richiamavano l’idea della riemersione, della rinascita, del rigoglio delle forze.

Lo scrittore e studioso Riccardo Taraglio ci ricorda di una “statuetta celtica ritrovata nel 1832 a Muri nei pressi di Berna (il simbolo della città è appunto un orso, come lo è di Madrid, Biella, Berlino e altre) e risalente al II- III sec. d.C., (che) mostra la Dea Artio seduta con un paniere di frutti accanto e di fronte un orso che sbuca dalla foresta. Questa scena va letta come un libro figurato che narra i passaggi stagionali: per prima cosa vi è la foresta oscura (il periodo invernale), quindi il risveglio dell’orso (primavera) e finalmente la Dea con frutti e fiori (estate). La parte invernale è nascosta perché lì la Dea è oscura e quindi invisibile perché avvolta dal buio del periodo”. Secondo M. Green (dizionario di mitologia celtica), la presenza della frutta nella statuetta di Artio potrebbe invece far pensare che fosse considerata una Dea cacciatrice o, al contrario, protettrice degli orsi. Anche nell’area del fiume Isère, si venerava un Mercurio Artios quale protettore degli orsi e dio psicopompo. L’orso, proprio per la sua caratteristica di andare in letargo, è infatti un custode dei confini tra i due mondi. Nella bellissima ballata scozzese di Tam Lin, una delle forme in cui viene trasformato il protagonista è proprio l’orso e la sua trasformazione fa pensare all’inglobamento di forze ed energie diverse che consentono il passaggio da una vita a un’altra, l’iniziazione a stadi diversi dell’essere.
I miti irlandesi e gallesi, nonché la toponimia celtica, contengono diversi personaggi e luoghi i cui nomi si legano alla figura dell’orso. Abbiamo ad esempio Mathgen e Mathugenos “nato dall’orso” o “figlio dell’orsa”, o Mat mac Mathonwy “orso figlio del piccolo orso”. Presso quelli che gli autori classici erano soliti identificare come “popoli dell’orsa” – ovvero i popoli che vivevano a Nord guardando in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore – l’orso era simbolo di regalità e identificava il re eletto fra i membri della classe guerriera. In celtico art significa orso, così come in irlandese, mentre l’orso si chiama arth nella lingua gallese, arzh in quella bretone e artoris in antico britannico. Possiamo quindi osservare la radice comune del nome, che rimanda a re Artù, sovrano supremo a cui viene affidata la potentissima Excalibur, la spada nella roccia. Anche il manoscritto della Historia Brittonum annota che il nome celtico di Artù “latine translatum, sonat ursum terribilem”, ovvero, tradotto in latino, indica un terribile orso.
L’orso è diffuso in quasi tutto l’emisfero settentrionale terrestre, dall’Eurasia al Nord America, ed è ben noto non solo per le sue qualità di estrema forza e vigore, ma anche per una capacità di adattamento tra le più raffinate esistenti in natura. Predilige zone montuose e boscose e in Italia, infatti, l’Abruzzo è patria di questo formidabile animale.
Nell’antico mondo germanico e scandinavo l’orso identificava non tanto l’aspetto regale quanto il coraggio e lo spirito combattivo, incarnandosi nella figura dei berserkir, nome che designava una casta di guerrieri “dal rivestimento d’orso” consacrata al dio Odino. La loro formazione consisteva in un apprendistato cui seguiva un’iniziazione per poter cominciare a combattere. Lottavano a corpo nudo, coperti solo con pelle d’orso. Ritualmente, si volevano umanizzare le proprietà intrinseche all’animale e assorbirne la forza e la straordinaria prestanza. Pare infatti che i berserkir fossero invulnerabili e che né il fuoco né il ferro potessero scalfirli. D’altronde, l’orso in molte tradizioni rappresenta proprio la figura dell’uomo selvaggio o dell’orco predatore. Per questo nelle antiche società uccidere un orso equivaleva ad acquisirne la sua forza magica e sacra al tempo stesso, grazie alla quale il guerriero diventava una figura ai confini della divinità. La ritualità sacra legata alla pelle dell’orso ricorre anche nel mondo slavo dove, chi se ne procurava una, doveva consegnarla immediatamente al volhv, sacerdote pagano, affinché nessuno la calpestasse perché sacra; e in diversi villaggi la forza e il potere di questo splendido animale venivano invocati tramite travestimenti e mascheramenti rituali.
Nei romanzi arturiani la presenza dell’orso e quella del cinghiale non fanno che mescolarsi e alternarsi, come a indicare la contrapposizione tra la funzione guerriera e quella sacerdotale. La caccia e la guerra sarebbero così stati i due aspetti fondanti della ricerca della sovranità. Oltre ad Artù, ritroviamo il richiamo all’orso anche in Beowulf, epopea in antico inglese, in cui il giovane principe ha il compito di liberare il palazzo del re Hrothgar dal mostro Grendel. Il nome Beowulf potrebbe infatti derivare sia da bee-wolf, “lupo delle api”, sia da bear-wolf, ovvero “lupo-orso”.
Interessante il parallelismo, sul versante prettamente femminile, con le fanciulle tra i cinque e i dieci anni che nel tempio della Dea Artemide – un altro dei nomi di Iside – venivano iniziate al culto dell’orsa. Esse infatti venivano chiamate “orse” e in luna piena danzavano nude, in cerchio, attorno alla Dea senza che nessun individuo di sesso maschile potesse assistere al rituale. Poi i loro corpi venivano massaggiati con un unguento che le rendeva luminose ai raggi lunari, mentre tutte le altre donne le onoravano: chi, come le guerriere, colpendo i loro scudi e chi pestando i piedi per terra. Il messaggio che si voleva insegnare era quello di rispettare e onorare il proprio corpo, considerato sacro alla stregua di un tempio, nonché pura dimora dello spirito. Come abbiamo visto, anche i Celti veneravano una divinità-orsa, Artio, ma in seguito si finì per attribuire all’animale un’accezione negativa di crudeltà e violenza, detronizzando così anche il potere della Dea e delle antiche tradizioni.

Se nelle società nordiche l’orso è spesso simbolo di regalità e abilità nel combattimento, ha anche valenza in quanto portatore di “maternità”. L’antica radice bher-, germanico *beran, significa infatti “partorire” e “portare con sé”. Inoltre, secondo diverse leggende e tradizioni, come quella degli Ainu del Giappone o in Russia, l’orso è l’antenato dell’uomo o, come avviene nella mitologia slava, il Creatore primordiale. È curioso che gli slavi non lo nominassero mai per paura di evocarlo, e infatti il nome slavo per orso è tutt’oggi ignoto.
In Russia esiste invece la Commedia dell’orso, in cui un orso ammaestrato viene portato durante la maslenìza, il Carnevale russo, a contatto con il pubblico. In Russia è infatti considerato apportatore di fortuna e abbondanza, ma soprattutto si ritiene che abbia il potere di guarire i mali e i dolori che l’inverno ha portato con sé. Quella della Commedia dell’orso è ovviamente una pratica poco etica, perché per donare la guarigione l’orso deve toccare il malato e le sue unghie sono vendute come amuleti magici. L’idea che l’orso sia apportatore di buona salute ricorre anche in Bulgaria, dove era usanza, quando possibile, condurne un esemplare nell’angolo sacro della casa e dargli del cibo: se l’orso mangiava, era un buon segno; allora i malati venivano fatti sdraiare per terra affinché fossero scavalcati e quindi guariti dall’animale.



Note: a cura di Eriu
sulla base delle ricerche del gruppo Ynis Afallach Tuath
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