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Ynis Afallach Tuath

I COMMENTARII
Venerdì, 22 Febbraio 2008 - 18:11 - 2348 Letture
Celti Il termine commentarii può indicare "appunti", "memorie", "osservazioni",
a carattere privato, però, il termine è stato anche usato da Cesare
per indicare le proprie narrazioni della guerra gallica e della guerra contro Pompeo.

Il de bello gallico e il de bello civili sono opere di attentissima cura letteraria
e di meditata impostazione politica,
ma con questa designazione Cesare voleva sottolineare
che non si trattava di letteratura storiografica,
bensì di una rievocazione personale, ossia di memoriali.
L'origine di questa accezione risale ad una pratica dei magistrati di età repubblicana
che usavano raccogliere in una sorta di diario i provvedimenti
e gli eventi principali del periodo di carica.
I commentarii potevano assumere un carattere di documentazione ufficiale,
venendo depositati presso i collegi sacerdotali.
Gli stessi pontefici curavano documentazioni della loro attività nei libri pontificum.
Di questa produzione abbiamo però solo notizie indirette.
É presumibile che l'uso dei commentarii abbia favorito lo sviluppo di una produzione in prosa,
legata all'attualità politica e affine a una vera e propria memorialistica:
una tradizione della prosa latina che rimase separata dal grande filone
(sempre più soggetto ad elaborazione retorico-letteraria)
dell'oratoria giudiziaria e pubblica

- I commentarii de bello gallico -

Nei Commentarii de bello gallico Cesare narra le vicende
della guerra da lui condotta in Gallia dal 58 al 52 a. C.
L’opera è divisa in 7 libri, uno per ciascun anno di guerra.
Dopo la morte di Cesare , Aulo Irzio, suo luogotenente,
scrisse un ottavo libro per raccontare gli avvenimenti del 51-50 a. C.
con la definitiva pacificazione della Gallia.
Tutti gli studiosi concordano nel riconoscere ai Commentarii sostanziale attendibilità
del resoconto storico in quanto si sono rilevate soltanto piccole inesattezze
e non grossolani errori o falsificazioni.
E’ però evidente che il tono dell’esposizione, la scelta,
la disposizione dei fatti sono finalizzati allo scopo di presentarli
nella luce più favorevole al protagonista.
Cesare presenta la guerra come “giusta”, “bellum iustum”,
come una guerra necessaria per impedire che nemici pericolosi possano costituire per Roma
una minaccia difficilmente contenibile.
Egli, pertanto, sottolinea la pericolosità di popolazioni bellicose e pronte a tutto
e attribuisce la causa scatenante del conflitto all’invasione degli Elvezi in territorio romano,
utilizzando il solito luogo comune romano del conflitto difensivo,
o almeno preventivo.
Non cerca neppure di nascondere o giustificare le atrocità commesse contro i nemici,
atrocità che vengono registrate senza imbarazzo,
come normali attività di guerra.
Lo scopo principale sembra essere quello di dare di sé il ritratto del grande generale
che identifica la propria gloria con quella di Roma,
sicuro della propria capacità bellica e della cieca obbedienza dei suoi soldati.

-Dora-
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