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Ynis Afallach Tuath

VERCINGETORIGE
Venerdì, 22 Febbraio 2008 - 18:22 - 4188 Letture
Celti Capo arverno ( Roma 46 a.C.). Figlio di un nobile, Celtillo,
nel 52 a.C. aderì alla ribellione delle tribù galliche contro i Romani,
ottenendone il comando, mentre gli Arverni lo acclamarono loro re.


Dopo alcuni insuccessi iniziali, adottando la tattica della terra bruciata »
per impedire i rifornimenti al nemico ed evitando la battaglia campale,
riuscì a mettere in difficoltà Cesare, che subì un grave scacco all'assedio di Gergovia.
Ma, avventuratosi in campo aperto venne duramente sconfitto
e si rinchiuse nella fortezza di Alesia.
Dopo una difesa disperata, fallito anche il tentativo da parte di un grosso esercito di Galli
di forzare dall'esterno il blocco posto dai Romani alla città,
Vercingetorige si arrese consegnandosi al vincitore.
Condotto a Roma, fu giustiziato dopo aver ornato il trionfo di Cesare nel 46.

Chi era Vercingetorige?
Innanzitutto, qual è il significato del suo nome?
Sono state proposte le etimologie piú fantasiose.
L’interpretazione oggi accettata dai linguisti è la seguente:
ouer, prefisso di origine indoeuropea che significa “su” o “sopra”;
kingues o kinguet vuol dire il guerriero, l’eroe;
riks: il re.
Se ne ricava dunque
Vercingetorige = Re supremo dei guerrieri.

Nel XIX secolo, alcuni storici si interrogarono circa l’eventualità che Vercingetorige
fosse un titolo piuttosto che un nome proprio.
Alcuni si dissero favorevoli alla prima ipotesi e scrissero perciò
che «il vercingetorige era questo o quello».
Il ritrovamento di monete con l’iscrizione Vercingetorix
ha posto fine alla discussione: si tratta senza dubbio di un nome proprio.

Quali furono, nel 52 a.C., le relazioni tra Vercingetorige e Cesare?
A questo proposito Cesare tace, ma possiamo disporre di due testimonianze,
quelle di Cassio Dione ,(storico vissuto circa 2 secoli dopo i fatti),
parla di un’«amicizia» fra i due, fino a quando il principe gallo non decise
di «rompere l’accordo» tra Roma e gli Arverni, rendendosi colpevole magni sceleris,
cioè di «un crimine immenso».,
L’espressione magni sceleris probabilmente allude al tradimento di Vercingetorige
che nel 53 a. C. , in assenza di Cesare, si sarebbe impadronito con la forza
del potere presso gli Arverni e avrebbe cercato di creare una coalizione anti romana.
Alcuni storici, partendo dalla testimonianza di Cassio Dione,
ritengono che Vercingetorige facesse parte della cerchia dei comandanti di Cesare
come capo del contingente arverno.
A sostegno di questa tesi c’è il fatto che V. dimostrò di saper padroneggiare bene
la tattica militare romana e ciò poteva verificarsi solo se il capo gallico
avesse conosciuto da vicino la strategia di Cesare.
Nel De bello gallico Cesare, infatti, racconta che Vercingetorige
nel fortificare l’accampamento utilizza la tattica romana
e applica la cosiddetta “strategia della terra bruciata”,
secondo l’uso romano (cfr. VII, 14),
cioè ordina di bruciare villaggi e raccolti per privare i Romani degli approvvigionamenti
Vercingetorige fu un condottiero responsabile dell’applicazione
di una tattica nefasta per coloro che scelsero di seguirlo,
un incompetente, che raggiunse il colmo della sua inettitudine facendosi “bloccare” ad Alesia
e offrendo a Cesare la possibilità di assediarlo?
Oggi la risposta è ben diversa da quella che non piú tardi di una trentina d’anni fa
continuava ad essere data, quando la sconfitta di Alesia veniva vista
come una sorta di tragedia nazionale.
Analizzando con un minimo di imparzialità lo svolgersi delle campagne
che vennero condotte nel 52 a.C.,
comprendendo in tale analisi il punto di vista di Cesare,
non si può fare a meno di constatare che il capo gallico portò avanti
una strategia e tattiche militari intelligenti,
che si potrebbero cosí riassumere:
sottrarsi allo scontro diretto con le legioni
(troppo forti per fantaccini gallici privi di qualsiasi esperienza),
cercare di stancarle obbligandole a massicci spostamenti
e lanciandosi in azioni di guerriglia contro le retroguardie,
cercare di tagliare quanto piú possibile l’afflusso dei rifornimenti
(fino al punto di dare alle fiamme fattorie e villaggi).

A tutto ciò s’aggiunse il tentativo di destabilizzare lo stesso Cesare,
attaccando la provincia (che, per buona sorte del condottiero, rimase fedele a Roma).
Ma, soprattutto, Vercingetorige scelse la strategia che viene definita
come quella dell’«ascesso da fissazione»
(espressione presa a prestito dal gergo militare francese)
che consiste nel concentrare intorno a una postazione amica
il maggior numero possibile di uomini della parte avversa
per poi annientarli con un’azione portata dall’esterno.
I tre grandi “assedi” portati da Cesare si spiegano con questa linea di condotta.
Il primo, nel mese di aprile, fu quello di Avaricum (Bourges).
Cesare, privo di rifornimenti, voleva prendere il controllo della città,
che ne era al contrario piena. Il tempo era stato pessimo: faceva freddo,
violenti temporali s’erano abbattuti sulle legioni.
La città era naturalmente difesa da corsi d’acqua e da paludi
che occupavano la zona periferica;
il solo accesso possibile, e per giunta alquanto stretto,
era sbarrato da un poderoso terrapieno.
I legionari cominciarono a costruire opere gigantesche,
per nulla fiaccati nel morale.
Vercingetorige non poté attaccarli da dietro,
come sperava di fare dopo averli indeboliti.
Fu cosí che Cesare si impadroní della città.

Il secondo assedio fu quello di Gergovia, la capitale del popolo degli Arverni.
Anche in questo caso Vercingetorige attirò Cesare,
sottraendosi a qualunque scontro in campo aperto.
Il suo piano? Si basava innanzi tutto sulla speranza che gli Edui
(i principali alleati di Roma, da almeno un secolo,
quelli che il Senato aveva definito «fratelli dello stesso sangue», fratres consanguineique),
avrebbero a loro volta disertato e si sarebbero lanciati sulle retrovie delle legioni.
Il piano fallí di poco, fu questione di pochi giorni.
Cesare riuscí a scampare alla trappola, lanciò un poderoso assalto,
che gli costò importanti perdite. Ma riuscí a ritirarsi in tempo.
Poco dopo gli Edui si unirono ufficialmente alla coalizione.
Oggi, come possiamo constatare, si tende a riabilitare Vercingetorige come condottiero.
Fu capace di dare a Cesare filo da torcere,
gl’impose di battere in ritirata e di ripiegare sulla provincia:
nel momento in cui (in cuor suo) tendeva la trappola di Alesia,
osservando il proconsole che si disponeva all’assedio,
è probabile che abbia esultato.
Lo stesso Cesare era verosimilmente consapevole che si andava incontro
a una partita tutt’altro che decisa in partenza.
Dall’insieme di queste circostanze e considerazioni emerge dunque
un personaggio di sicuro interesse:
legato a Roma e a Cesare, in seguito capace di rinnegare i trattati stipulati
e i rapporti di amicizia, in grado di coinvolgere i Galli in una coalizione
che aveva le carte per riuscire e che invece fallí.
La sua avventura durò meno di un anno.

La riscoperta della figura di Vercingetorige

I Galli avevano avuto un loro eroe:
Vercingetorige.
La riscoperta ha luogo nel pieno dell’età romantica, intorno al 1828-30.
In Vercingetorige viene vista la figura di un giovane dall’animo ribelle,
simile agli eroi di Victor Hugo o Alfred de Musset,
difensore di una nobile causa che cade sotto i colpi implacabili di forze ben piú potenti
(le legioni di Cesare).
Si diffonde un’emozione contagiosa, che tocca il suo culmine con l’interesse
che Napoleone III manifesta nei confronti del re arverno.
La guerra del 1870 venne in piú d’una occasione paragonata a quella combattuta nel 52 a.C.:
i Tedeschi furono assimilati ai Romani, Bismarck a Cesare, Gambetta a Vercingetorige,
l’assedio di Parigi a quello di Alesia.
E dal tutto fu tratta una lezione importante:
cosí come la Gallia, all’indomani della sconfitta di Alesia,
seppe trovare le giuste motivazioni per diventare (in seguito) la Francia,
allo stesso modo la Francia vinta avrebbe trovato la forza necessaria per riscattarsi.
Era dunque tempo di preparare la rivincita.

Questo almeno era il messaggio inviato dagli uomini politici,
dai romanzieri, dagli artisti e dagli “storici della domenica”.
Quelli di professione, quelli che scrivevano i libri autorevoli
e ispiravano i manuali scolastici, scrivevano cose di ben altro tenore.
Vercingetorige era stato, innegabilmente,
un uomo di valore, ma la sua sconfitta andava vista come un bene: grazie a Roma,
la Gallia era entrata nel mondo civilizzato,
aveva partecipato ai suoi progressi e aveva infine conosciuto il cristianesimo.
Quei barbari degli antenati dei Francesi s’erano trasformati,
allo stesso modo in cui avevano progredito i popoli che avevano avuto la sorte
d’essere integrati nell’impero coloniale francese.
E allora era tempo che i loro capi deponessero le armi con onore,
come Vercingetorige, e che capissero quale fosse la via
che avrebbe portato il loro popolo alla felicità.
Ci vorrebbero decine di pagine per poter seguire
gli sviluppi di questo complesso e multiforme movimento ideologico.

Durante la seconda guerra mondiale,
il regime di Vichy (località ai piedi di Gergovia, fino ad allora considerata
come il luogo sacro della resistenza gallica!)
invocò Vercingetorige per giustificare la collaborazione con il regime nazista di Adolf Hitler:
dalla sconfitta sarebbe nato un bene prezioso, s’apriva per la Gallia – cioè per la Francia –
la prospettiva di un nuovo ordine.
Da circa una ventina o fors’anche una trentina d’anni Vercingetorige
è passato di moda, esattamente come è accaduto alla maggior parte degli «eroi» della storia francese.

Il ritratto di Vercingetorige nel de bello gallico
LIBER VII, IV
LIBRO VII, IV

Simili ratione ibi Vercingetorix, Celtilli filius, Arvernus, summae potentiae adulescens, cuius pater principatum Galliae totius obtinuerat et ob eam causam, quod regnum appetebat, ab civitate erat interfectus, convocatis suis clientibus facile incendit.Cognito eius consilio ad arma concurritur. Prohibetur ab Gobannitione, patruo suo, reliquisque principibus, qui hanctemptandam fortunam non existimabant; expellitur ex oppido Gergovia; non destitit tamen atque in agris habet dilectum egentium ac perditorum. Hac coacta manu, quoscumque adit ex civitate ad suam sententiam perducit; hortatur ut communis libertatis causa arma capiant, magnisque coactis copiis adversarios suos a quibus paulo ante erat eiectus expellit ex civitate. Rex ab suis appellatur. Dimittit quoque versus legationes; obtestatur ut in fide maneant. Celeriter sibi Senones, Parisios, Pictones, Cadurcos, Turonos, Aulercos, Lemovices, Andos reliquosque omnes qui Oceanum attingunt adiungit: omnium consensu ad eum defertur imperium. Qua oblata potestate omnibus his civitatibus obsides imperat, certum numerum militum ad se celeriter adduci iubet, armorum quantum quaeque civitas domi quodque ante tempus efficiat constituit; in primis equitatui studet. Summae diligentiae summam imperi severitatem addit; magnitudine supplici dubitantes cogit. Nam maiore commisso delicto igni atque omnibus tormentis necat, leviore de causa auribus desectis aut singulis effossis oculis domum remittit, ut sint reliquis documento et magnitudine poenae perterreant alios.


Similmente Vercingetorige, figlio di Celtillo, arverno, giovane influentissimo, il cui padre era stato l'uomo più autorevole della Gallia e,
aspirando al regno, era stato giustiziato con pubblico decreto, convoca i suoi clienti e facilmente li imfiamma. Conosciuto il suo disegno, si
corre alle armi. Gobannizione, suo zio, si oppone, e con lui gli altri capi, che erano contrari ad un simile rischio. Cacciato da Gergovia, non
desiste, e arruola nelle campagne gente miserabile e perduta. Forte di queste truppe, trae dalla sua quanti cittadini incontra; li esorta a
prendere le armi per la comune libertà e, raccolte grandi forze, scccia dal paese gli avverari che poco prima avevano scacciato lui. I suoi lo
acclamano re. Manda ambascerie da ogni parte; scongiuratutti a rimaner fedeli. Presto si aggrega i Senoni, i Parisii, i Pittoni, i Cadurci, i
Turoni, gli Aulerci, i Lemovici, gli Andii, e tutti gli altri popoli che costeggiano l'Oceano. Tutti d'accordo gli affidano il comando. Ottenuto il
potere, comanda ostaggi a tutte quante tribù, ordina il pronto invio di determinati contingenti, stabilisce la quantità d'armi che ognuna deve
allestire e entro quanto tempo; prima cosa, organizza la cavalleria. Alla sua straordinaria attività aggiunge una straordinaria severità nel
comando, e con rigorosi castighi costringe gli esitanti. Per un grave delitto, condanna al rogo e a mille tormenti; per le colpe minori, fa
mozzare al reo gli orecchi, o gli strappa un occhio, e lo rimanda a casa, affinché serva d'esempio, e con l'atrocità della pena incuta agli altri
spavento.




Il ritratto del suo più temibile nemico è tratteggiato da Cesare all’insegna dell’ambiguità.
Da un lato gli riconosce tre doti fondamentali per un leader:

• la capacità di tener testa alle avversità fino a rovesciarle a suo favore
(paragrafi 2-5 non desistt tamen)
• attrarre i suoi uomini (parr. 3-6)
• organizzarli efficacemente (parr.7-10)

Dall’altro lato, tuttavia, Cesare descrive Vercingetorige come un demagogo,
pronto a servirsi, in modo spregiudicato, della causa comune per i suoi fini personali.
Cesare è particolarmente abile nell’insinuare nel lettore questo sospetto,
pur senza esporsi apertamente ma con velate allusioni:
regnum adpetebat, in agris habet dilectum egentium ac perditorum
cioè aspirava a farsi re, arruolava nullatenenti e disperati.

-Dora-
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