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Ynis Afallach Tuath

ALESIA
Venerdì, 22 Febbraio 2008 - 18:32 - 5558 Letture
Celti La battaglia di Alesia

Il capitolo 69 del VII libro inizia con la descrizione accurata della posizione di Alesia
(identificata con Alise Sainte-Reine, nei pressi di Digione).

Cesare è molto accurato nei particolari:
la posizione elevata di Alesai, la pianura circostante, le colline,
il fossato, il muro che i Galli avevano costruito.
L’unico modo per espugnarla era cingerla d’assedio,
costruendo un accampamento sorvegliato notte e giorno,
per evitare improvvise sortite del nemico

LIBER VII, LXIX
LIBRO VII, 69

Ipsum erat oppidum Alesia, in colle summo admodum edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse uideretur. Cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum III in longitudinem patebat; reliquis ex omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro quae pars collis ad orientem solem spectabant, hunc omnem locum copiae Gallorum compleuerant fossamque et maceriam in altitudinem VI pedum praeduxerant. Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus X milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant posita ibique castella XXIII facta; quibus in castellis interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur.


La città di Alesia sorgeva sulla cima di un colle molto elevato, tanto che l'unico modo per espugnarla sembrava l'assedio. I piedi del colle,
su due lati, erano bagnati da due fiumi. Davanti alla città si stendeva una pianura lunga circa tre miglia; per il resto, tutt'intorno, la cingevano
altri colli di uguale altezza, poco distanti l'uno dall'altro. Sotto le mura, la parte del colle che guardava a oriente brulicava tutta di truppe
galliche; qui, in avanti, avevano scavato una fossa e costruito un muro a secco alto sei piedi. Il perimetro della cinta di fortificazione iniziata
dai Romani raggiungeva le dieci miglia. Si era stabilito l'accampamento in una zona vantaggiosa, erano state costruite ventitré ridotte: di
giorno vi alloggiavano corpi di guardia per prevenire attacchi improvvisi,
di notte erano tenute da sentinelle e saldi presidi.



LIBER VII , LXX
LIBRO VII , 70

Opere instituto fit equestre proelium in ea planitie quam intermissam collibus tria milia passuum in longitudinem patere supra demonstrauimus. Summa vi ad utrisque contenditur Laborantibus nostris Caesar Germanos submittit legionesque pro castris constituit, ne qua subito inruptio ab hostibus peditatu fiat. Praesidio legionum addito nostris animus augetur: hostes in fugam coniecti se ipsi multitudine inpediunt atque angustioribus portis relictis coartatur. Germani acrius usque ad munitiones sequuntur. Fit magna caedes: non nulli relictis equis fossam transire et maceriam transcendere conatur. Paulum legiones Caesar quas pro vallo constituerat removeri iubet. Non minus qui intra munitiones erant perturbantur Galli: ueniri ad se confestim existimantes ad arma conclamant: non nulli perterriti in oppidum inrumpunt. Vercingetorix iubet portas claudi, ne castra nudentur. Multis interfectis, conpluribus equis captis Germani sese recipiunt
Quando i lavori erano già iniziati,le cavallerie vengono a battaglia nella Pianura che si stendeva tra i colli per tre miglia di lunghezza, come abbiamo illustrato. Si combatte con accanimento da entrambe le parti. In aiuto dei nostri in difficoltà, Cesare invia i Germani e schiera le legioni di fronte all'accampamento, per impedire un attacco improvviso della fanteria nemica. Il presidio delle legioni infonde coraggio a nostri. I nemici sono messi in fuga: numerosi com'erano, si intralciano e si accalcano a causa delle porte, costruite troppo strette. I Germani li inseguono con maggior veemenza fino alle fortificazioni. Ne fanno strage: alcuni smontano da cavallo e tentano di superare la fossa e di scalare il muro. Alle legioni schierate davanti al vallo Cesare ordina di avanzare leggermente. Un panico non minore prende i Galli all'interno delle fortificazioni: pensano a un attacco imminente, gridano di correre alle armi. Alcuni, sconvolti dal terrore, si precipitano in città. Vercingetorige comanda di chiudere le porte, perché l'accampamento non rimanesse sguarnito. Dopo aver ucciso molti nemici e catturato parecchi cavalli, i Germani ripiegano.

Cesare si sofferma a descrivere tutti gli scontri e le sortite dei Galli, che,
disperati, tentavano in ogni modo di rompere l’assedio attraverso attacchi mirati
contro le truppe romane ( VII, 70 ),
che però si concludono in un massacro anche a causa della decisione di Vercingetorige
di far chiudere le porte, per non lasciare sguarnito il suo accampamento:
così facendo, egli finisce per condannare a morte sicura i suoi soldati che,
in rotta, tentavano di rientrare in città.


LIBER VII, LXXII.
LIBRO VII, 72

Quibus rebus cognitis ex perfugis et captiuis Caesar haec genera munitionis instituit. Fossam pedum uiginti derectis lateribus duxit, ut eius fossae solum tantumque pateret quantum summae fossae labra distarent: reliquas omnes munitiones ab ea fossa pedes quadrigentos reduxit, id hoc consilio, quoniam tantum esset necessario spatium conplexus, nec facile totum opus corona militum cingerentur, ne de inprouiso aut noctu ad munitiones hostium multitudo aduolaret, aut interdiu tela in nostros operi destinatos coicere possent. Hoc intermisso spatio duas fossas quindecim pedes latas eadem altitudine perduxit: quarum interiorem campestribus ac emissis locis aqua ex flumine deriuata compleuit. Post eas aggerem ac uallum XII pedum extruxit. Huic loricam pinnasque adiecit, grandibus ceruis eminentibus ad commissuras pluteorum atque aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et pluteorum atque aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et turres toto opere circumdedit, quae pedes LXXX inter se distarent.


Cesare, appena ne fu informato dai fuggiaschi e dai prigionieri, approntò una linea di fortificazione come segue: scavò una fossa di venti piedi, con le pareti verticali, facendo sì che la larghezza del fondo corrispondesse alla distanza tra i bordi superiori; tutte le altre opere difensive le costruì più indietro, a quattrocento piedi dalla fossa: avendo dovuto abbracciare uno spazio così vasto e non essendo facile dislocare soldati lungo tutto il perimetro, voleva impedire che i nemici, all'improvviso o nel corso della notte, piombassero sulle nostre fortificazioni, oppure che durante il giorno potessero scagliare dardi sui nostri occupati nei lavori. A tale distanza, dunque, scavò due fosse della stessa profondità, larghe quindici piedi. Delle due, la più interna, situata in zone pianeggianti e basse, venne riempita con acqua
derivata da un fiume. Ancor più indietro innalzò un terrapieno e un vallo di dodici piedi, a cui aggiunse parapetto e merli, con grandi pali sporgenti dalle commessure tra i plutei e il terrapieno allo scopo di ritardare la scalata dei nemici. Lungo tutto il perimetro delle difese innalzò torrette distanti ottanta piedi l'una dall'altra.

Approfittando delle pause tra questi scontri,
Cesare inizia il suo lavoro di fortificazione, che, come accennato,
si svolge in un duplice anello:
uno interno per non consentire ai Galli assediati
di compiere sortite o di aprirsi una via di fuga verso l’esterno,
ed uno esterno, con lo scopo di proteggere le truppe romane dagli alleati dei Galli
che sarebbero giunti in aiuto degli assediati,
ponendo in questo modo i Romani a rischio di essere accerchiati
e di dover dunque combattere su due fronti (VII, 72 – 74).
La descrizione, se nel caso di Avarico era stata breve, per Alesia,
data forse l’importanza dello scontro e della posta in gioco,
si fa attenta e minuziosa.
Si inizia dalle opere di scavo, con la preparazione di un vasto e profondo fossato (fossam),
a pareti diritte (derectis lateribus), corredato a breve distanza da altri due fossati più piccoli,
perchè i soldati che aveva a disposizione per proteggere le mura dell’accampamento
fossero più coperti dagli attacchi dei nemici
e questi ultimi non potessero compiere attacchi improvvisi tutti insieme in massa,
che avrebbero trovato le truppe romane impreparate,
causa il loro esiguo numero e l’incredibile estensione della cerchia delle mura edificate per l’assedio
(nec facile totum opus corona militum cingeretur).
Il primo dei due piccoli fossati fu riempito di acqua deviata da un fiume
(aqua ex flumine derivata).
Accanto alle tre opere di scavo Cesare fece erigere un terrapieno (aggerem)
ed un muro (vallum) di 12 piedi, con tanto di parapetto (loricam)
e merlature (pinnas).
Queste opere murarie erano anche dotate di “cervi” (grandibus cervis eminentibus),
intrichi di bastoni e rovi che avevano lo scopo
di ritardare se possibile la scalata dei nemici alle mura.
Infine le mura erano completate da un buon numero di torrette.


Opere difensive predisposte da Cesare



Una ricostruzione delle difese predisposte da Cesare attorno al suo accampamento

Nel frattempo, Cesare si doveva dedicare all’approvvigionamento
per le sue truppe (frumentari)
ed aveva anche bisogno di procurarsi il materiale da costruzione (materiari)
per completare le sue fortificazioni:
per evitare che i suoi soldati fossero attaccati dagli assediati
mediante improvvise sortite mentre si occupavano di queste incombenze,
il generale romano decise di ampliare le postazioni difensive,
perchè potessero essere difese da un numero minore di soldati
(quo minore numero militum munitiones defendi possent):
fece piantare nel terreno tronchi solidi con rami robusti
cui venivano rese acuminate le cime.
I Romani li chiamavano “cippi” (cippos):
chi vi entrava finiva infilzato nei rami appuntiti
e diveniva quindi un facile bersaglio per i difensori
che tiravano pietre e dardi dalle mura.



LIBER VII, LXXIII.
LIBRO VII, 73

Erat eodem tempore et materiari et frumentari et tantas munitiones fieri necesse deminutis nostris copiis, quae longius ab castris progrediebantur; ac non numquam opera nostra Galli temptare atque eruptione ex oppido pluribus portis summa ui facere conabantur. Quare ad haec rursus opera addendum Caesar putauit, quo minore numero militum munitiones defendi possent. Itaque trucis arborum [aut] admodum firmis ramis abscisis atque horum delibratis ac praeacutis cacuminibus perpetuae fossae quinos pedes altae ducebantur. Huc illi stipites demissi et ab infimo reuincti, ne reuelli possent, ab ramis eminebant. Quini erant ordines, coniuncti inter se atque inplicati; quo qui intrauerant se ipsi acutissimis vallis induebant. Hos cippos appellabant.



Bisognava contemporaneamente cercare legna e frumento e costruire fortificazioni così imponenti, mentre i nostri effettivi non facevano che
diminuire, perché i soldati si allontanavano sempre più dal campo. E alle volte i Galli assalivano le nostre difese e dalla città tentavano
sortite da più porte, con grande slancio. Perciò, Cesare ritenne opportuno aggiungere altre opere alle fortificazioni già approntate, per
poterle difendere con un numero minore di soldati. Allora tagliò tronchi d'albero con i rami molto robusti, li scortecciò e li rese molto aguzzi
sulla punta; poi, scavò fosse continue per la profondità di cinque piedi. Qui piantò i tronchi e, perché non li potessero svellere, li legò alla
base, lasciando sporgere i rami. A cinque a cinque erano le file, collegate tra loro e raccordate: chi vi entrava, rimaneva trafitto sui pali
acutissimi. Li chiamammo cippi. .

ex terra enimerent; simul confirmandi et stabiliendi causa singuli ab infimo solo pedes terra exculcabantur, reliqua pars scrobis ad occultandas insidias uiminibus ac uirgultis integebantur. Huius generis octoni ordines ducti ternos inter se pedes distabant. Id ex similitudines floris lilium appellabant. Ante haec taleae pedem longae ferreis hamis infixis totae in terram infodiebantur mediocribusque intermissis spatiis omnibus locis disserebantur; quos stimulos nominabant.

Davanti ai cippi scavò buche profonde tre piedi, leggermente più strette verso il fondo e disposte per linee oblique, come il cinque nei dadi. Vi conficcò tronchi lisci, spessi quanto una coscia, molto aguzzi e induriti col fuoco sulla punta, non lasciandoli sporgere dal terreno più di quattro dita. Inoltre, per renderli ben fermi e saldi, in basso aggiunse terra per un piede d'altezza e la pressò; il resto del tronco venne ricoperto di vimini e arbusti per nascondere l'insidia. Ne allineò otto file, distanti tre piedi l'una dall'altra. Le denominammo, per la somiglianza con il fiore, gigli. Davanti a esse vennero interrati pioli lunghi un piede, forniti di un artiglio di ferro: ne disseminammo un po' ovunque, a breve distanza Presero il nome di stimoli.

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Note: BIBLIOGRAFIA

• Cesare, De bello Gallico, I grandi classici greci e latini, Fabbri editori
• G. Garbarino, Electa letteratura latina vol I Paravia editore
• Di Sacco, Serio, Odi et amo, letteratura latina vol I B. Mondadori editore
• A. Freudiani, Le grandi battaglie di Roma antica, Newton & Compton ed.2002/2003
• G. Zecchini, Vercingetorige, Laterza editore Roma-Bari 2002
• V. Kruta, I Celti , Bompiani, Milano 1991
• V. Kruta, L’Europa delle origini, Rizzoli, Milano 1993
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