Ynis Afallach Tuath

Il melograno e la zucca

Articoli / Ciclo dell'Anno
Inviato da Xenia 28 Nov 2008 - 08:09

Con questo breve articolo ho pensato di approfondire cosa si nasconda dietro ai due simboli principali della festa di Samhain, legata all’altro mondo e al regno le cui porte si spalancano in questa notte così sacra e misteriosa.

La melagrana

Dal punto di vista botanico, la melagrana (in greco: rhoa, in latino: punica granatum ) è una pianta coltivata da molto tempo in una zona che si estende dal Punjab, in India, ai territori a sud del Caucaso; fin dall’antichità si è diffuso in tutta l’Asia Minore e poi nei paesi del Mediterraneo.
Probabilmente venne diffusa dai Fenici, introdotta nelle zone calde sia come albero da frutto che come pianta medicinale. I suoi numerosi semi racchiusi in una polpa succosa alludevano alla fecondità, mentre l’intero frutto era il simbolo di Dee come Astarte ( di origine fenicia ), di Demetra e Persefone ( Cerere e Proserpina), di Afrodite ( Venere ) e di Atena.

Il melograno o l’eterno ritorno

Come ci spiega Alfredo Cattabiani nel “Florario” , tutt’oggi nel Santuario di Santa Maria del Granato a Capaccio Vecchio, in provincia di Salerno, si venera una Vergine col Bambin Gesù che tiene nella mano destra una melagrana, come fosse uno scettro: è la Madonna del Granato. Come vedremo successivamente, anche nell’iconografia cristiana questo frutto ha un significato particolare. Nel museo di Paestum è ancora conservata, invece, una statua arcaica, forse del VII secolo a.C. raffigurante la Dea Era con un bimbo in braccio nell’atteggiamento di “colei che nutre” e anch’essa regge questo frutto nella
mano destra. Nello stesso museo un’altra statua arcaica di terracotta rappresenta un’altra dea non bene identificata seduta su un trono e con lo stesso frutto.
Anche nel museo di Napoli, ci dice Cattabiani, sono custodite alcune statuette di kourotrofoi con la melagrana, di tarda epoca ellenistica, che provengono da Capua.
Anche Pausania aveva descritto una statua di Era in Argo, rappresentata sul trono, con in capo una corona dove erano scolpite le Cariti e le Ore, con in una mano la melagrano e nell’altro lo scettro. Lo scrittore non volle spiegare cosa significasse il frutto.
Anche altre Dee vennero rappresentate con il melograno: Atena, protettrice di Atene, Dea vittoriosa; Afrodite a Cipro ( dove avrebbe piantato per la prima volta la pianta ), e poi Core-Persefone, Signora degli Inferi e delle piante.
Presso i latini questo frutto era chiamato malum punicum, ovvero melo fenicio, poiché si diceva che provenisse da quella zona dove una mitica Sìde ( altro nome greco del frutto ) era considerata un’eroina fondatrice di Sidone.

I miti arcaici della melagrana

Il melograno era un attributo della Grande Madre, la regina del Cosmo, nel duplice ruolo di Colei che dà la vita e Colei che dà la Morte; quindi, la melagrano era simbolo sia di Fecondità ( addirittura, in Mesopotamia si credeva che il melograno aumentasse il vigore sessuale ) che di Morte. In diverse tombe greche nell’Italia meridionale erano presenti alcuni melograni in terracotta. Ma questo frutto non è legato solo alla Dea Madre, anzi, appare spesso come attributo legato a
personaggi mitologici maschili.
Secondo i miti greci, il melograno è legato a diverse divinità, primo tra tutti Dioniso.
Il mito narra, infatti, che Zeus – travestito da uomo mortale- amò Semele ( che Cattabiani indica come la luna ) e la giovane, rimasta incinta, venne indotta dalla gelosa Era - in sembianze di vecchia - a chiedere all’amante di apparirle nel suo vero aspetto, visto che lei avrebbe anche potuto pensare che egli fosse un mostro. A quel punto, Zeus – furioso – le apparve in sembianze di Dio saettando folgori che incenerirono la giovane donna.
Ma nonostante questo, Ermes riuscì a salvare il bambino, cucendolo nella coscia di Zeus dove il piccolo poté crescere per altri 3 mesi, nascendo così nei giusti tempi. Per questo, Dioniso viene spesso soprannominato “nato due volte”.
Il punto, però, è che quando Era seppe del tradimento del marito e quindi dell’esistenza del bambino, convinse due Titani di uccidere il piccolo. I due lo trovarono mentre si guardava allo specchio e lo squartarono, riducendolo in 7 pezzi che fecero bollire in un calderone posto su un tripode ( che ricorda tanto il successivo calderone con tre piedi delle streghe,
n.d.Xenia ), mentre un albero di melograno sorgeva dal terreno imbevuto del suo sangue. A quel punto, nonna Rea resuscitò il piccolo Dioniso ( da notare che, oltre al melograno, dal corpo del Dio nacque anche un’altra pianta; infatti, dalla cenere delle sue membra, sorse la vite ).
Un altro mito legato a questo frutto ci riconduce ad Attis, legato alla Dea anatolica Cibele.
Sulla frontiera della Frigia vi era nei pressi di Pessinonte una scogliera deserta chiamata Agdos dove
si adorava Cibele in forma di roccia.
Papas, il Dio del cielo, si era innamorato della Dea ed un giorno, tentando invano di unirsi a lei, sprizzò il suo seme sulla roccia ( mentre in un’altra versione lo emise nel sonno; in tutti e due i modi, questo racconto ricorda parecchio la nascita di Erittonio di cui si è parlato negli articoli su Atena; n.d.Xenia ). La roccia così fecondata generò l’androgino Agdìstis ( ricordiamo che Cibele stessa viene indicata come androgina e bisessuata, un po’ come androgina era ritenuta Atena e infatti, per i greci, Agdistis rappresentava Cibele stessa, che poi si innamorerà di Attis; n.d.Xenia ), selvaggio ed indomabile. Questo preoccupò moltissimo gli Dèi che vollero punirlo per la sua tracotanza e diedero il compito a Dioniso. Nelle vicinanze vi era una sorgente alla quale l’androgino andava a dissetarsi durante la caccia. Dioniso ne trasformò l’acqua in vino ( cosa vi ricorda? La stessa trasmutazione che fece Cristo alle nozze di Cana…n.d.Xenia ) e l’androgino, bevendola,
cadde in un sonno invincibile.
Il Dio, a questo punto, legò con una fune il membro maschile di Agdistìs ad un albero e quando egli si svegliò, alzandosi con uno slancio, la fune lo evirò. Il sangue che ne cadde a terra la fecondò e qui sorse un melograno con un frutto.
Un giorno, Nana ( che Graves indica – ne La Dea Bianca - come la Arianrhod frigia, n.d.Xenia ), la figlia del Dio fluviale Sangarios, passeggiando in quella zona vide una melagrana pendere da un arbusto. Essendo un frutto molto invitante, lo colse e se lo mise nel grembo.
Ma la melagrana sparì improvvisamente, mentre la principessa si ritrovò incinta.
Il padre, sdegnato per la figlia disonorata, la imprigionò condannandola a morire di fame ma Agdistìs la nutrì con frutta e cibi divini finché partorì il bambino. Il Dio fluviale, però, fece esporre il neonato per farlo morire, ma questo non accadde poiché il bambino venne nutrito da un caprone ( è possibile che fosse Dioniso? N.d.Xenia ) con un suo misterioso “latte”. Il piccolo venne chiamato Attis che poteva significare “bel bambino” o forse traeva il suo nome da “attagus” che probabilmente era il nome frigio del caprone.
Certamente, comunque, il melograno è un attributo molto femminile.
In epoca arcaica, ad esempio, era associato ad un essere femminile, Rhoio, uno dei nomi greci della pianta: era figlia di Stàfylos, il Tralcio d’uva, a sua volta figlio di Dioniso. Il padre irato l’aveva rinchiusa in una larnax, un recipiente d’argilla, e gettata in mare. Dopo un fortunato viaggio, la ragazza era giunta sull’isola di Delo dove aveva generato Anios, che a sua volta aveva generato Oino, Spermo ed Elais ( Vino, Grano, Ulivo ). Sìde è un altro nome del melograno, collegato ad una
fanciulla, eroina eponima di Panfilia. Secondo la leggenda più antica, Sìde era la sposa di Orione, il cacciatore che la gettò nell’Ade perché aveva osato contendere con Era una gara di bellezza. Questo mito forse rappresentava un passaggio da una sfera cultuale primitiva ( Side ) ad una più moderna ( Era ).
Una variante del mito narra che la ragazza, insidiata dal padre, si uccise sulla tomba della madre. A quel punto, gli Dèi, impietositi, fecero sorgere dal sepolcro il melograno mentre il padre veniva trasformato in un nibbio, l’uccello rapace che mai si posa sugli alberi.
In tutti questi miti, comunque, si parla del ciclo morte sacrificio da cui nasce la vita; anche il larnax di Rhoio
allude a questo, infatti era usato nel mondo egeo come cassa funebre ( inoltre, il fatto che nel mito la ragazza fosse gettata in mare e quindi in acqua allude, sicuramente, ad un viaggio infero legato alla morte e rinascita; n.d.Xenia ).
Come abbiamo poi già visto, un altro mito legato al melograno e al femminile è quello che vede protagonista Nana.

La melograna di Core-Persefone.

Sempre restando nel mondo greco, un personaggio sicuramente legato a questo frutto magico è Proserpina, figlia di Demetra/Cerere.
Spesso questa Dea, Persefone, ci viene rappresentata con in mano il melograno ad indicarla come Signora dei Morti. Questa iconografia la troviamo sia nelle terrecotte di epoca antica provenienti da varie zone del Mediterraneo ( Rodi, Cos, Melos, Sicilia ed Italia Meridionale ), sia in opere più recenti come, ad esempio, la “Proserpina” del preraffaellita Dante
Gabriel Rossetti.
Probabilmente, come le Dee già citate in precedenza, anche Persefone doveva essere una dea arcaica ( lo dimostrano anche le varie statue di Core del periodo greco arcaico, n.d.Xenia ).
Un inno omerico ci narra che un giorno, Persefone stava giocando con le figlie di Oceano cogliendo rose, crochi, viole, iris e giacinti; ad un certo punto, vide un narciso: quando tese le mani per prenderlo, sotto di lei si aprì un varco e Ade la rapì.
Questo rapimento, concesso ad Ade da Zeus, fece adirare Demetra, la madre di Persefone, la quale decise che la terra non avrebbe più portato i frutti a maturazione. Zeus, preoccupato per la vita degli uomini sulla terra, mandò Ermes da Ade per far sì che liberasse Persefone.
Ade obbedì e Persefone ne fu felice, ma Ade, furtivamente, le fece mangiare un chicco di melograno perché ella non potesse più restare per sempre lassù sulla terra.
Quando Demetra ritrovò finalmente la figlia, ebbe un triste presentimento e le chiese se non avesse per caso mangiato qualcosa nell’Ade. Se così fosse stato, Persefone avrebbe dovuto rimanere nell’Ade ogni anno per una delle tre stagioni, mentre le altre due le avrebbe passate con la madre e gli Dèi immortali. Ogni volta, a primavera, essa sarebbe risalita sulla terra, splendente. Persefone, a questo punto, dice alla madre che Ade l’ha costretta a mangiare il chicco di melograno che qui ha la funzione di costringere la Grande Madre ( come Vergine ) a scendere ciclicamente negli inferi: ovvero, a morire come vergine per diventare madre e generare il figlio luminoso evocato durante i misteri di Eleusi.
Come la luna diviene nera durante il novilunio, unendosi al sole, così Persefone scende ogni anno negli inferi per congiungersi con Ade per rigenerare il cosmo e per rinascere risalendo sulla terra con la madre, divenendo, così, signora delle piante.
Sempre in Grecia, questa pianta spesso veniva piantata sulle tombe degli eroi, forse anche per assicurare ad essi una lunga discendenza. Inoltre, si pensava che questi alberi fossero i ricettacoli di certe ninfe, le Ree.
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Il melograno presso i Romani

Chiaramente, questo frutto così abbondante e ricco di chicchi evocava abbondanza e fertilità. I Romani ornavano il capo delle spose con rametti di questa pianta per augurare loro fertilità; in effetti, a Roma la melagrana era tenuta in mano da Giunone e rappresentava il matrimonio, l’amore e quindi i frutti di questo amore. Chiaramente, anche presso i Romani il
frutto aveva il significato opposto, cioè di morte; infatti, si possono osservare in molte tombe romane,sopra le epigrafi, dei melograni in basso rilievo, oltre che a immagini di uva e della vite ecc. ( come mi è capitato di vedere proprio di recente durante la visita al foro romano di Assisi , n.d.Xenia ). Cattabiani ci dice che ancora oggi, in Vietnam si canta “La melagrana si apre e lascia venire cento figli”, mentre in Turchia la sposa getta per terra una granata: avrà tanti figli, si dice, quanti sono i chicchi usciti dal frutto.

Il melograno nell’Antico Testamento e nel Cristianesimo

Anche in questo caso, il frutto è legato alla femminilità. Esso viene anche citato nel Cantico dei Cantici ( “Come specchio di melagrana la tua gota attraverso il velo” e “I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti” ), ma è anche simbolo, oltre che di Fecondità e Prosperità, della Benedizione Divina. Il Signore, in Esodo, dice ad Aronne di
ricamare nel bordo dell’abito sacerdotale varie melagrane di colore viola, porpora rossa e scarlatto, in mezzo a sonagli d’oro. Anche i capitelli della reggia di Re Salomone riportavano melograni e qui, oltre ad essere un simbolo divino, diviene anche simbolo regale, grazie alla coroncina del frutto.
Secondo Gregorio di Nissa, il melograno avrebbe anche rappresentato lo splendore di buone azioni: un tenore di vita saggio e duro ( come la buccia del melograno ) è ricolmo di buone speranze quando a tempo debito fiorisce ( come la parte interna del frutto ). Ma questa idea non influirà molto sul pensiero medievale, dove invece il frutto indicherà la Chiesa che unisce in sé, in una sola fede, popoli diversi come i chicchi., che possono anche indicare la ricchezza dei martiri e dei misteri della Chiesa.
Ma anche il succo rosso del frutto ricorda il sangue dei martiri. Inoltre, essendo il guscio duro, mentre all’interno la polpa è dolce e morbida, la melagrana ha anche simbolizzato la figura del sacerdote, severo esteriormente ma interiormente benevolo. Nel caso, poi, il melograno fosse rappresentato aperto, avrebbe simbolizzato l’amore misericordioso del Cristo che si dona.
Rimanendo sempre in questo ambito, San Giovanni della Croce, nel Cantico spirituale fa dire alla sposa ( che rappresenta l’anima la quale si rivolge all’Amore- Cristo ):

Godiamoci l’un l’altro, Amato
E andiamo a rimirarci nella tua bellezza
Alla selva e al colle,
di dove scaturisce l’acqua pura:
inoltriamoci nella macchia.
E poi alle profonde
Caverne della pietra ce ne andremo
Che stanno ben nascoste;
e lì ci introdurremo
e gusteremo il succo di melegrane.

L’anima che vive nell’unione perfetta con Dio gli chiede di ricevere da Lui gioia e letizia, di diventare simile all’amato, di conoscere i suoi segreti e di penetrare nei misteri della sapienza divina nascosti in Cristo. Ogni mistero divino è simboleggiato da una melagrana ( i molti chicchi rappresentano le provvidenze di Dio contenuti da ogni virtù, mistero e giudizio ). Da notare, soprattutto, la forma circolare del frutto che simboleggia Dio, il suo essere senza principio né fine. Il succo della melagrana, poi, è ciò che l’anima riceve dalla conoscenza.
Durante l’epoca barocca, l’abbondanza dei semi è divenuto simbolo della carità, del donare per amore ( pensiamo a certi ordini come la Caritas, l’Ordine dei Fratelli misericordiosi ecc. ), mentre in araldica è divenuto l’emblema di Granada e della Columbia ( l’ex “Nuova Granada” ).

La Madonna e il melograno

Nell’iconografia Cristiana, sono davvero molte le rappresentazioni della Madonna con in mano questo frutto. Pensiamo a due opere del Botticelli, in questo senso: la Madonna della Melagrana ( 1487 circa, oggi agli Uffizi ) e la Madonna del Magnificat ( 1481-1485, sempre agli Uffizi ). In entrambe le opere, il frutto è tenuto in mano sia dalla Vergine che dal Bambino, per cui, qui il melograno avrebbe doppio significato di castità e resurrezione. In entrambe le opere, il melograno è aperto e mostra i propri chicchi: può rappresentare,oltre ai due significati precedenti, anche la Chiesa che riunisce in sé diversi popoli,l’Amore di Dio e la ricchezza dei misteri divini.
Ma andiamo oltre. Cattabiani cita anche la Madonna del Granato del Carpaccio, dove la Madonna tiene il frutto nella mano destra come uno scettro. Il legame con le Grandi Madri antiche è abbastanza lampante e quindi il simbolo è quello di Grande Madre che genera e rigenera il cosmo; qui,la Vergine -con le Sacre Nozze- diventa genitrice del Figlio, apportatrice di fecondità spirituale a tutta l’umanità e portatrice dell’Amore divino. Se è il Bambino a portare il frutto, di solito indica- nell’iconografia medievale e rinascimentale – l’Amore che si sacrifica e che poi rinasce ( come il seme che cadendo in terra muore e si trasforma per rinascere ) per redimere l’uomo.

Il melograno nel mondo profano

Il frutto di cui stiamo trattando si trova spesso anche in diversi dipinti che di sacro non hanno assolutamente nulla. Uno di questi dipinti, ad esempio, raffigura Matilde di Canossa, molto legata sì alla chiesa, ma donna di potere nel periodo medievale, con un melograno in mano per indicare i propri possedimenti.
Un altro esempio di questo tipo, lo possiamo trovare in un dipinto di Albrecht Durer intitolato L’imperatore Massimiliano I ( 1519, Vienna ), in cui appunto l’imperatore tiene in mano un melograno che in questo caso rappresenta l’unione di molti sotto una singola autorità. Un altro dipinto di questo tipo è quello di Nicolò dell’Abate, Ritratto di giovane ( 1548-1552 , Vienna ), in cui un giovane uomo nobile, forse un letterato, viene ritratto con il frutto in mano che qui dovrebbe indicare la carità e la ricchezza interiore del protagonista.
Come ci spiega Cattabiani, nel Rinascimento la Granata che raccoglie in sé i grani era considerato un simbolo di Giunone come “conservatrice dell’unione dei popoli e suscitatrice della concordia famigliare. Per questo Cesare Ripa nella sua Iconologia dice che la Concordia viene rappresentata con una bella donna che tiene nella mano destra un melograno e nella sinistra uno scettro con in cima fiori e frutti.
Anche l’Accademia, che riuniva diverse persone, era rappresentata da questo frutto che, tra l’altro, appariva nell’allegoria della Conversazione: un giovane ridente, vestito di verde, con una ghirlanda di alloro in testa con nella mano sinistra un caduceo a cui erano attorcigliati un ramo di melograno e di mirto; sopra, le alette di una lingua umana. Il giovane sembra fare una riverenza, con il braccio destro teso in avanti da dove pende un nastro con la scritta “Veh soli”. Il caduceo con le due piante significherebbe che nella conversazione è importante che vi sia unione ed amicizia e che le due parti abbiano uno scambio alla pari ( come le due piante che si avvitano perché si cercano e si scambiano i propri profumi ). Il giovane allegro indica che i giovani amano stare insieme, il verde indurrebbe l’allegria, l’alloro renderebbe virtuosa la conversazione, la lingua indica che l’uomo ha la parola per esprimere amore e affetto agli altri. La riverenza indica che conversando occorre essere cortesi con chi si parla.
Anche D’Annunzio si ispirò, nel ‘900, al melograno, scrivendo nel 1898 “I romanzi del melograno”, un ciclo di cui scrisse solo la prima parte ( Il fuoco ) per trarre dai frutti ( che si schiudono d’autunno per far vedere i chicchi ) il simbolo della Fecondità del poeta, mentre la coroncina regale rappresentava il Dominio del Superuomo.

I significati principali

Principalmente, quindi, i significati legati al frutto sono: fertilità e morte ( nel mondo pagano ), unione di parti diverse ( nella Chiesa ), castità ( se in mano alla Vergine ), risurrezione ( se in mano a Gesù Bambino ), ma anche, nel caso di Cesare Ripa, Concordia e Conversazione. Quindi, in questo ultimo caso, rappresenta la Concordia e, se con l’allegoria della
Conversazione, indica che in qualsiasi scambio dialettico è importante che rimangano salde l’unione e l’amicizia tra le parti. Nel mondo Europeo, inoltre, sognare un melograno indica che l’amore sta per arrivare.

Alcune fonti

Clemente Alessandrino, Protrettico ai greci, II Ovidio, Metamorfosi V, 341-571 Cantico dei Cantici 4,12-13 Concordia; Conversazione, in Cesare Ripa, Iconologia.

Il melograno secondo Robert Graves

Nel testo La Dea bianca, nel capitolo intitolato I sette pilastri, Graves ci dice che il melograno era l’albero sacro a Saul, nonché di Rimmon, il nome di Adone dal cui sangue si dice sia sorto. Aggiunge, poi, che per tradizione la vittima pasquale veniva infilzata in uno spiedo di melograno. Il frutto del melograno era l’unico ammesso nel Sancta Sanctorum del Tempio: piccole melagrane ricamate ornavano, come infatti abbiamo già visto, i paramenti sacri del Sommo Sacerdote quando vi compiva l’ingresso annuale. L’autore dice che, essendo il settimo giorno sacro a Jahvèh ed essendo Javhèh una forma di Bran, Saturno o Ninib - il Saturno assiro, Dio del Sud – come lo portano a credere varie riflessioni precedenti, tutto porterebbe a supporre che il frutto legato al settimo giorno della settimana della creazione fosse il melograno ( tenendo come principio della settimana quella che sarebbe la giornata della domenica, dedicata al Sole; quindi, il 7° giorno sarebbe il sabato, n.d.Xenia ).
In un capitolo successivo, Graves parla della vita meditativa, legata al sabato e alla domenica, le due giornate legate rispettivamente al melograno e all’acacia. Il giorno del sabato, il melograno, sarebbe stato legato all’illuminazione, la domenica e l’acacia al riposo. Così come cita, poco più avanti , l’ipotesi ( già portata avanti anche da altri testi ) che l’Albero della Vita del Paradiso Terrestre non fosse un melo ma un melograno. Inoltre, nel capitolo Guerra in cielo, il nostro dice: “Nel candelabro della Hanukkah, che tra gli Ebrei marocchini ( la cui tradizione è la più pura ed antica ) è sormontato da una piccola melagrana, le otto luci sono disposte in fila, ciascuna su un ramo separato, come nella Menorah; dal piedistallo esce un braccio con un suo portalampada e una sua luce che serve per accendere tutte le altre. L’ottava luce della fila deve rappresentare il giorno supplementare dell’anno, il giorno della lettera J, che viene intercalato al solstizio d’inverno; perché la melagrana, emblema non solo del settimo giorno della settimana, ma anche del pianeta Ninib ( Saturno, n.d.Xenia ), che regge il solstizio di inverno,mostra che questo candelabro è una Menorah estesa a contenere tutte le lettere del Tetragrammaton ( quelle che formano il nome di Dio in ebraico, n.d.Xenia ) (…). Il candelabro della Hanukkah era il solo ad essere impiegato ritualmente nelle sinagoghe della Diaspora ( per evitarne la riproduzione ed evitare che venisse fondato un altro tempio equivalente a quello di Gerusalemme, n.d.Xenia ) ( …) Il senso della melagrana alla sommità è stato dimenticata dagli ebrei marocchini, che lo considerano un mero elemento decorativo, pur riconoscendone l’antichità; gli Ebrei dell’Europa Centrale l’hanno sostituita con un pomolo sormontato da una stella di David. Gli Ebrei marocchini pongono una melagrana anche all’estremità del bastone che è chiamato etz chaym, “albero della vita”, mentre gli Ebrei dell’Europa centrale l’hanno ridotta ad una corona formata dal suo calice avvizzito. La spiegazione rabbinica fattuale della santità della melagrana è che si tratta dell’unico frutto inattaccabile dai vermi.”

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Il melograno nella Wicca

Per finire qui questo breve ex-cursus sul melograno, ho pensato di dare un’occhiata all’Enciclopedia delle piante magiche di Scott Cunnigham per sapere come venga usato nella magia della Wicca.

Genere: maschile
Pianeta: Mercurio
Elemento: fuoco
Divinità: Cerere, Persefone ( peccato che Cunningham si dimentichi Dioniso, Attis e compagnia bella, n.d.Xenia ).
Poteri: divinazione, fortuna, desiderio, ricchezza,
fertilità.

Usi magici

Cunningham riporta il fatto che mangiare i chicchi di melograno aumenterebbe la fertilità e per lo stesso scopo se ne può portare addosso la buccia.
Il melograno sarebbe poi un frutto magico che dona fortuna: esprimendo un desiderio prima di mangiarlo, dovremmo essere esauditi.
Inoltre, continua l’autore, un ramo di melograno farebbe scoprire tesori nascosti ed attirerebbe denaro; la buccia essiccata viene aggiunta agli incensi di denaro e ricchezza. Inoltre, per sapere quanti figli una donna avrà, dovrà lanciare un melograno per terra e il numero di chicchi usciti rappresenteranno il numero di figli ( come abbiamo già visto poco sopra ).
Inoltre, i rami di melograno appesi sopra alle porte difenderebbero dal male e il succo verrebbe adoperato sia come sostituto del sangue, sia come inchiostro magico.

La zucca

Altro simbolo, forse anche più conosciuto del precedente, anche perché ormai più commercializzato durante il periodo di Samhain/Halloween, è la zucca, facente parte del genere Cucurbita della famiglia delle Cucurbitacee. Ve ne sono di diverse specie provenienti da diverse zone del mondo, con colori e forme di tutti i tipi. Spesso, sono state usate per creare oggetti decorativi, utensili, scatole ecc. Fin dall’antichità, la zucca svuotata è stata usata come contenitore; addirittura, gli Aztechi le usavano per berci la loro amata bevanda al cacao. Servivano per trasportare sale e acqua, ma anche come galleggianti per insegnare alle persone a nuotare.
Ma quali sono i significati legati a questo frutto della terra?
Alfredo Cattabiani, nel paragrafo intitolato “La zucca di Atena” comincia col ricordarci la famosa zucca di Cenerentola di Charles Perrault che, per magia, grazie alla fata buona, si trasforma in un’eccellente carrozza.
Questa fiaba, che come ci dice il nostro, è anche un’allegoria di una rinascita dagli inferi al cielo, riflette il simbolismo della zucca che, grazie ai suoi tanti semi, fin dall’antichità venne considerata sia in Occidente che in Oriente il simbolo della resurrezione dei morti.
Ed in effetti, è proprio da qui che nasce la tradizione della notte di Samhain-Halloween di svuotare le zucche, intagliarle con volti terrificanti ( pensiamo al personaggio di Jack - O’- Lantern, n.d.Xenia ), ed illuminarle grazie ai lumini posti al loro interno. Queste lanterne vanno poste sui davanzali o negli angoli delle vie per rappresentare il ritorno dei defunti nella notte del Capodanno celtico, in cui vi è un rimescolamento tra mondo dei vivi e mondo dell’aldilà, da cui rinascerà l’anno nuovo, un nuovo corso.
Da un articolo di Andrea Romanazzi apparso recentemente su Athame, leggo che la tradizione di intagliare le zucche con figure spaventose per allontanare gli spiriti maligni sarebbe nata verso il ‘700, anche sei in origine non si trattava proprio di
zucche ma di rape. Sembra, però, che nel 1845, causa una grande carestia in Irlanda, molta gente, dovendo immigrare in America, si portò con sé questa usanza.
Ma in America le rape non si trovavano facilmente ed allora si pensò bene di sostituire le rape con le zucche che, comunque, sin dall’antichità avevano avuto questo forte legame con il concetto di morte e resurrezione, come vedremo, già legato al culto della Dea e ritrovato nel Cristianesimo.
A proposito, comunque, del rapporto tra l’immagine della zucca e gli spiriti, volevo far notare una cosa: James Frazer, ne Il ramo d’oro,cita una pratica che, a suo dire, avrebbero usato gli stregoni delle Hawaii.
Questi sarebbero stati in grado di catturare le anime delle persone vive chiudendole dentro a delle zucche,per poi darle da mangiare alle persone per sbarazzarsene. Inoltre,questi stregoni, strizzando con le mani le anime catturate, sarebbero stati anche in grado di ottenere da esse delle informazioni.
Cattabiani ci dice anche che Ateneo riferisce di un culto particolare nella città greca di Sicione, in cui si adorava una Dea chiamata Kolokasìa Athenai. Siccome Atena è un altro nome della luna ( come già abbiamo visto nell’articolo sulla Dea, n.d.Xenia ), è evidente che la zucca sia sempre stata consacrata alla Dea Madre e simboleggi abbondanza e fecondità ( proprio per i suoi tanti semi e anche, aggiungerei, per quella forma panciuta e rotonda che dà l’idea di una donna in attesa,
n.d.Xenia ), prosperità e buona salute. Inoltre, ci dice Romanazzi, l’uso della zucca anche come medicamento per i problemi femminili è rintracciabile in un testo chiamato Corpus Hippocraticum del 400-300 a.C. in cui si dice di svuotare una zucca, metterci dentro del carbone gettandovi sopra della mirra triturata per poi far sedere la donna su questa zucca e far prendere i vapori ai genitali. Quindi, sempre un mezzo per ottenere la fertilità. Ma non finisce qui. L’autore ci spiega anche che la zucca,presso i romani, sarebbe stata collegata a Priapo, la divinità di origine greca itifallica, simbolo della sua natura fertile. Come ci dice il nostro, nei Carme ( o Carmina ? n.d.Xenia ) Priapei egli veniva invocato come il custode delle zucche ed in diversi autori latini ( es. Propezio ) la zucca viene collegata al ventre della donna…Per cui, la zucca avrebbe avuto un doppio significato: quello del ventre fertile della Dea Madre, ma anche quella del fallo maschile ( pensiamo alle zucche allungate, n.d.Xenia ). In tutti e due i modi, diviene comunque simbolo della fertilità.

La zucca in America, in Australia ed India

In America centrale, la zucca avrebbe assunto un ruolo simile a quello dell’uovo cosmico orfico, come ci spiega la leggenda seguente. C’era un uomo potentissimo che si chiamava Iaia. Un giorno, il suo unico figlio morì improvvisamente; dopo averlo pianto, il padre lo seppellì in una zucca enorme che portò ai piedi di una montagna, vicina al paese.
Dopo alcuni mesi, l’uomo tornò alla tomba del figlio scoperchiandola per versare qualche lacrima sul giovane, ma il corpo non c’era più e nella zucca piena d’acqua nuotavano balene e pesci di tutti i tipi.
Sconvolto, Iaia tornò dai parenti per raccontare l’accaduto. Nel paese vivevano quattro fratelli che incuriositi dal racconto che si arricchiva ogni volta di nuovi elementi ( tesori ecc. ), decisero di andare ai piedi della montagna per impadronirsi della zucca magica. Quando Iaia lo venne sapere li raggiunse e li sorprese mentre stavano per portare via la zucca. Sorpresi dal suo arrivo, i quattro, per evitare una vendetta, la lasciarono cadere e la zucca si spaccò in molte parti mentre un torrente ne uscì inondando la terra. Fu così che si formarono i mari e gli oceani.
In Indocina, invece, si narra che l’umanità fu distrutta dal diluvio, tranne due giovani ( un fratello ed una sorella ) che si salvarono in una zucca. I due si sposarono e la donna partorì…una zucca: i suoi semi, sparsi in pianura e in montagna, diedero origine alle diverse etnie. Simile è il mito che si ritrova in India.
Sumati, sposa del Re Sagara di Ayodhya, a cui erano stati promessi 60.000 figli, partorì una zucca da cui uscirono i 60.000 bambini. Mentre Teofilo Folengo nelle Maccheronee, descrive una zucca talmente grande da essere la patria di poeti, cantanti, astrologi e negromanti.

Le zucche come emblemi di stupidità.

In Europa, la forma tondeggiante della zucca è stata collegata alla forma della testa umana ( pensiamo ad espressioni come “ha la zucca pelata”, “che zuccata!” per indicare una botta in testa ecc. ).
Dall’uso, in antichità, di usare le zucche come contenitori del sale nasce la frase “aver poco sale in zucca” ecc. o per dire, ad esempio, che una persona è poco intelligente “è una zucca vuota”.
Il suo significato negativo nasce dal fatto che, nonostante le sue grosse dimensioni, non avesse un gran valore nutritivo, oltre ad essere pure un po’ insipida. Per questo è divenuta anche emblema di nullità. Nonostante questo, però,occorre tener conto che dal punto di vista alimentare sia ricca di vitamina A e C, oltre che ad avere dei semi con capacità vermifuga.

La zucca come emblema della brevità della vita e della felicità

Sempre Cattabiani ci parla di un’opera del Durer, San Girolamo nello studio , in cui la zucca rappresenterebbe la fugacità della vita. Un simbolo, questo, che si ritroverebbe nell’Iconologia del già citato Cesare Ripa, il quale parla dell’allegoria della
Felicità breve come di una donna vestita di bianco e giallo ( contentezza ) con una corona d’oro in capo, adorna di pietre preziose. Regge uno scettro nella mano destra ( corona e scettro rappresenterebbero signoria ), al cui braccio si avvolgerebbe con le sue fronde una zucca sorta dal terreno circostante, mentre con la sinistra afferra un bacile pieno di monete e di gemme ( la felicità breve ed effimera come la zucca che in poco tempo appassisce ).
Anche nell’allegoria della Speranza fallace appare una zucca che una donna tiene nella mano sinistra insieme con una nottola, simbolo di chi vola nel buio.

La zucca nell’iconografia Cristiana

Nei tempi antichi, oltre ad essere utilizzata per trasportare acqua, vino o sale, le zucche svuotate venivano usate anche dai viandanti come borraccia per l’acqua. Per questo, nell’iconografia cristiana è divenuta spesso il simbolo dei pellegrini, come San Giacomo Maggiore che, dopo aver predicato in Giudea e Samaria, evangelizzò la Spagna.
L’Arcangelo Raffaele, compagno di viaggio di Tobia, talvolta viene ritratto con una borraccia ricavata sempre dalla zucca.
Anche San Giuseppe, nelle scene che lo raffigurano nella fuga in Egitto, lo rappresentano con lo stesso attributo così come Gesù quando viene rappresentato come viandante sulla strada per Emmaus quando incontra due discepoli con cui poi cenerà.
Quindi, la zucca viene qui a rappresentare un simbolo di resurrezione e salvezza, soprattutto facendo riferimento ad un passo della Bibbia in cui si narra che Dio fece crescere una pianta di zucca per fare ombra a Giona.
Per questo tipo di iconografia, possiamo citare, ad esempio, i seguenti dipinti:
• Adorazione dei pastori di Andrea Mantegna, del 1451-1453 ( New York )
• Riposo durante la fuga in Egitto di Bernart Van Orley, del 1515 ( San Pietroburgo ).
• Il giovane pellegrino, di Alexi Grisou, del 1726 ( Firenze ).

La zucca nella Wicca

Vediamo allora, a questo punto, che ruolo possa avere nella magia della Wicca questo frutto.
Genere: Femminile
Pianeta: luna
Elemento: acqua
Poteri: protezione
Usi magici.

Appesa sulla porta di ingresso, protegge dalle malìe. Un pezzetto di zucca in borsa allontanerebbe il male. Con la zucca si possono anche preparare dei sonagli che allontanino gli spiriti negativi. Va svuotata e va riempita con i semi essiccati. Una zucca essiccata a cui sia stata tolta l’estremità superiore e riempita d’acqua può essere usata come sfera per prevedere il futuro, come strumento di divinazione quindi.

Articolo di Xenia (Sarah Degli Spiriti) tratto da Labrys, quaderno amatoriale n. 8, Samhain 2005,
titolo originale: SAMHAIN DAL MELOGRANO ALLA ZUCCA


Fonti bibliografiche

Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e
simboli di fiori e piante. Ed. Arnoldo
Mondadori ( TN, 1997 )

Le Garzantine, Simboli. Ed. Garzanti (
Milano, 2001 )

Art Dossier n.49, Botticelli di Guido Cornini,
ed. Giunti ( Pomezia, 1990 )

Losapevi dell’Arte, La natura e i suoi simboli,
prima parte; ed. Electa- Gruppo Editoriale
L’Espresso ( Pomezia, 2004 )

Losapevi dell’arte, Eroi e Dei dell’antichità,
seconda parte. Ed. Electa – Gruppo Editoriale
L’Espresso ( Pomezia, 2004 )

Anthony S. Mercatante, Dizionario universale
dei miti e delle leggende; edizione
Mondolibri, S.p.a., Milano ( Farigliano - CN,
2003 )

Robert Graves, La Dea bianca, Ed. Adelphi (
Azzate, 1998 )

Scott Cunningham, Enciclopedia delle Piante
Magiche, ed. Mursia ( Milano, 2004 ? )

James Gorge Frazer, Il ramo d’oro, studio
sulla magia e la religione. Ed. Newton (
Milano, 1999 )

Articolo di Andrea Romanazzi, Le notti di
Samhain – un viaggio nelle tradizioni
popolari alla ricerca di antichi culti pagani,
apparso in Athame, Anno 4, n. 12- Mabon.

Copertina di A winter garden, five songs for
the season di Loreena McKennitt,1995.


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