Ynis Afallach Tuath

VII IL FALCO

Articoli / Lunologia
Inviato da Argante 17 Mag 2009 - 13:03

Am séig i n-aill
(Luna Piena tra il 15 aprile e il 12 maggio)

Benvenuta, Luna del Falco!
L’araldo dell’estate è là fuori sulla Terra,
i fiori si gonfiano ed esplodono,
l’inverno arretra.
Diveniamo campioni-guerrieri della luce,
aprendo la strada ad un gioioso trionfo dentro di noi.



Ci troviamo a cavallo tra il mese di Cutios e il mese di Giamonios, il cui significato è molto chiaro, poiché contiene direttamente il termine gallico che indica l’inverno, giamo. Significa quindi “fine dell’inverno”.
Siamo nel periodo in cui il Dio, nella sua manifestazione di Re dell’Estate, raggiunge il suo pieno potere e prende il sopravvento sul Re dell’Inverno, uccidendolo, e rivendica poi il suo ruolo di Re Sacro sposando la Dea nel suo aspetto di Vergine Cacciatrice (o Vergine dei Fiori).
Le storie mitologiche associate a questo periodo e a quello di Samhain sono tutte relative a questo triangolo amoroso, in cui due uomini si contendono i favori di una donna: anche qui, la cultura celtica introduce la Triade, la disparità fondamentale che mantiene costantemente l’equilibrio. I due uomini rappresentano la metà oscura e la metà luminosa dell’anno, e sono individuabili nel binomio Cernunnos-Maponos, mentre la donna rappresenta la Dea nel suo aspetto di Sovranità. A Beltaine, ella sarà nel suo aspetto di Vergine, a Samhain invece nell’aspetto di Madre-Crona. In quasi tutte le storie inoltre, compaiono episodi di caccia al cervo o al cinghiale, animali che rappresentano l’anima di colui che deve essere ucciso.

Vediamo adesso, in maniera sommaria, alcuni di questi racconti, che saranno analizzati più dettagliatamente nel corso di questo articolo e di quello del prossimo mese.
Nel primo ramo dei Mabinogion, Il Principe dell’Annwn, Arawn, Signore dell’Annwn, e Pwyll, Signore del Dyved, appaiono all’inseguimento di uno stesso cervo bianco. Arawn chiede poi a Pwyll di uccidere il suo rivale Hafgan (il Dorato, Signore del Sole Cocente dell’Estate); egli lo aveva già ferito a morte, ma dopo averlo decapitato la sua testa era ricresciuta e si era rianimato. Questo racconto ne richiama altri molto simili. Ricorda infatti il mito che tutti noi conosciamo di Re Quercia e Re Agrifoglio, rappresentanti le parti luminosa e oscura dell’Anno, destinati a scontrarsi due volte all’anno durante i solstizi, uccidendosi alternativamente. Anche nel racconto di Sir Gawain e il Cavaliere Verde abbiamo una struttura simile: il Cavaliere Verde chiede a Gawain di tagliargli la testa, facendogli giurare che l’anno successivo lui avrebbe acconsentito a farsi infliggere il medesimo colpo. Dopo essere stato decapitato, il cavaliere si rialza e riprende la sua testa, ma l’anno successivo sbaglia di proposito, mancando il colpo per tre volte e risparmiando la vita a Gawain. Analogamente, nel racconto Il Festino di Bricriu, il gigante Uath Mac Imomam si fa tagliare la testa da Cuchulainn, dandogli appuntamento per l’anno seguente, quando l’eroe dovrà farsi tagliare la testa a sua volta. Quando arriva il momento, anche questo gigante fa cadere di lato la sua ascia dichiarando l’eroe Campione d’Irlanda. Un’altro episodio della saga di Cuchulainn lo vede rivaleggiare contro il gigantesco e rozzo Cùi Roì Mac Dàire per conquistare la fanciulla Blàthnat. Nel primo ramo dei Mabinogion, Pwyll, campione e successore di Arawn, deve competere con Gwawl (Scintillante) per guadagnarsi i favori di Rhiannon. Al suo banchetto nuziale egli viene ingannato, perdendo la possibilità di sposare Rhiannon, ma l’anno successivo, al banchetto di nozze di Gwawl, sarà lui ad ingannarlo e guadagnarsi nuovamente il diritto di sposare la sua Regina. Nel quarto ramo, L’Isola dei Potenti, Llew Llaw, che dovrà superare i geìs imposti dalla madre Arianrhod per poter diventare uomo e prender moglie. Alla fine riesce a sposare Blodeuwedd, ma viene ucciso da Goronwy Pebyr, l’amante di lei. Successivamente viene riportato in vita da Gwydion, e stavolta sarà lui ad uccidere Goronwy. Nella saga dell’eroe Fionn Mac Cumhaill, Diarmaid, guerriero dei Fianna, rapisce Grainne dal marito Fionn, ormai anziano. Alla fine Diarmaid sarà costretto dai suoi geìs a partecipare alla caccia di un cinghiale destinato a morire contemporaneamente all’eroe stesso, e Grainne torna da Fionn. In altre versioni è Fionn stesso ad ucciderlo, trasformato in un cinghiale. Nel romanzo Kulhwch ac Olwen viene espressamente citata la rivalità tra Gwyn ap Nudd (tradizionalmente leader della Caccia Selvaggia) e Gwythyr ap Greidawl (il cui nome suggerisce lucentezza e calore) che si battono ogni primo di maggio per conquistare la mano di Creiddylad (o Cordelia), e “continueranno a farlo fino al giorno del destino”. Sempre in questo racconto Kulhwch deve superare una serie di prove, tra cui liberare Mabon e gettarsi nella caccia al cinghiale Twrch Trwyth, e infine uccidere il Gigante Biancospino, padre di Olwen, per poter sposare la sua amata. Qui Maponos, che è citato per nome (Mabon ap Modron, “Grande figlio della Grande Madre”), è prigioniero e deve essere liberato perché lui solo può dare la caccia al cinghiale.

Miti del genere si trovano anche in altre culture, basti pensare, per esempio, alla rivalità tra Osiride e Seth.
Queste storie sono tutte espressioni del “cambio della guardia” divino: nel passaggio da giamos a samos, a Beltaine, il Maponos batterà il suo rivale, da cui, a sua volta, verrà ucciso nel passaggio da samos a giamos, a Samhain. Poi, a seconda delle varie branche della tradizione, egli resusciterà in primavera, oppure, più spesso, rinascerà bambino al solstizio d’inverno, sarà rapito, sarà poi ritrovato e crescerà fino a diventare uomo e reclamare nuovamente la Dea a Beltane.
Molte sono le divinità, celtiche e non solo, che incarnano il Maponos rapito e cresciuto lontano dalla madre: Mabon, rapito alla madre Modron quando aveva solo tre notti; Pryderi, rapito alla madre Rhiannon la notte stessa della sua nascita; Llew Llaw, partorito prematuramente e cresciuto da Gwydion; Lugh, allevato da Manannan, o, in altre versioni, dal fabbro Goibniu; Fionn, cresciuto da due anziane donne, la druidessa Bodball e la guerriera Liath Luchra; Zeus, allevato in gran segreto in una caverna e allattato dalla capra Amaltea; la stessa Persefone/Proserpina/Kore, rapita alla madre Demetra da Ade; persino Gesù può essere visto come il Maponos: nato nel solstizio d’inverno, dovrà subito rifugiarsi in Egitto per sopravvivere ad Erode che lo vuole morto; poi, come Llew, verrà tradito e ucciso, sacrificandosi sulla croce come un Re Sacro, ma rinascerà dopo tre giorni.

In tutti questi miti compaiono le due rappresentazioni sacre che si celebrano nel giorno di Beltane: si tratta della Caccia Selvaggia, che corrisponde al sacrificio del Re, e delle Nozze Sacre.
Questa lunazione è maggiormente incentrata sulla Caccia Sacra, mentre il prossimo mese ci concentreremo sulle Nozze Sacre, ma entrambi gli avvenimenti sono da considerarsi legati indissolubilmente, poiché rappresentano entrambi il culmine delle energie associate alla primavera. (Ricordo che la festa di Beltane potrebbe cadere sia in questo mese che nel prossimo). Nel libro “Le Nebbie di Avalon”, Marion Zimmer Bradley associa a questo periodo la Caccia Sacra con l’uccisione del Re Cervo, in occasione dell’iniziazione di Artù. L’episodio è poi seguito dalle Nozze Sacre, l’accoppiamento tra la Vergine Cacciatrice (di cui Morgana ricopre il ruolo) e il nuovo Re Sacro, Artù.
Nei racconti dei Mabinogion, Arawn e Pwyll, un momento prima del loro incontro, stanno cacciando lo stesso cervo, che rappresenta il loro rivale, Hafgan, mentre Llew Llaw, in compagnia di Blodeuwedd, vede un cervo braccato e ucciso, che è la sua anima, infatti poco dopo egli viene assassinato da Goronwy. L’antico mito del Re Cervo tradito sopravvive curiosamente ancora oggi e l’espressione “fare le corna” è diventata sinonimo di “tradire”.
Il cervo incarnava per i Celti una forza in sintonia con i ritmi della Natura nell’avvenimento annuale della perdita e della ricrescita delle corna, più possenti delle precedenti. Vita-Morte-Rinascita era il ciclo della Vegetazione, il Canto della Vita che faceva del Cervo e delle sue corna un’importante figura dell’aspetto divino della Natura (Cernunnos) che, pur appartenendo al regno animale, viveva un fenomeno vegetale.
E’ bene sottolineare che la Caccia al Re Cervo è assimilabile a quella che Kondratiev definisce la Caccia al Cinghiale Cosmico; tra il Cervo e il Cinghiale esiste uno strettissimo legame: entrambe sono creature dell’Altromondo che varcano i confini tra i mondi con facilità, fungendo spesso da messaggeri o guide tra una parte e l’altra del confine. La caccia a questi animali viene accostata sia al periodo di Beltane che a quello di Samhain. Il cervo e il cinghiale sono entrambi manifestazioni del Dio destinato a morire, che viene cacciato e ucciso dal nuovo Signore.
Il cinghiale è quindi un altro animale associato a questo periodo, assieme alla sua forma addomesticata, il Maiale (la cui radice è la stessa di maggio, in inglese may, in francese mai, ecc.). Le prime qualità che vengono in mente pensando al cinghiale sono certamente collegate alla sua natura combattiva, feroce e indomabile che lo rendono il naturale simbolo del cacciatore e del guerriero (ricordare le mitiche invasioni d’Irlanda seguite da battaglie avvenute durante il periodo di Beltane). In gaelico il nome del maiale/cinghiale è reso con i termini muich, orc (da cui deriva porco) e torc (in gallese twrch) che ha una strana rassomiglianza con torque, la collana celtica indossata dai guerrieri. Il cinghiale è si guerresco e selvaggio, ma fornisce anche le sue carni, molto apprezzate dai Celti, per nutrire il popolo. Diviene così simbolo del nutrimento, che possiede in sé il potere della forza vitale e della vitalità.

Anche nei racconti che abbiamo citato, vi sono numerosi riferimenti al cinghiale, al maiale e alla scrofa. Nei Mabinogion, Gwydion trova l’anima di Llew grazie ad una scrofa. Nel racconto di Gawain, l’ingresso del Cavaliere Verde che chiederà di essere decapitato è immediatamente successivo all’arrivo della portata principale, la testa di cinghiale, che lo rappresenta palesemente. Anche nel racconto di Diarmuid e Grainne, l’uccisione del cinghiale corrisponde a quella di Diarmuid. Nel racconto Kulhwch ac Olwen, come abbiamo visto, una delle prove principali richieste per la liberazione di Olwen da parte del Gigante Biancospino, è la caccia al cinghiale Twrch Trwyth. Il nome stesso di Kulhwch significa “maiale magro” o “corsa del maiale”. La storia narra infatti che la madre, durante il periodo di gravidanza, si recò sulle pendici di un monte dove c’era una guardiana di porci con il suo branco e subito partorì per paura di questi animali. La guardiana di porci prese il neonato e lo condusse a Palazzo, dove venne battezzato appunto Kulhwch, perché era venuto al mondo in mezzo ai maiali. Un’altra variante narra che Kulhwch sia stato trovato nella tana di un maiale selvatico. Egli diviene perciò l’alter ego non soltanto del Maponos, ma anche del cinghiale stesso da lui cacciato, che può così costringere a consegnare i suoi strumenti magici (il rasoio e le forbici tra le sue setole, che saranno usati per “rasare” – ovvero decapitare – il Gigante Biancospino) necessari a spezzare il dominio del potere giamos sulla Fanciulla dei Fiori.
Il simbolismo del cinghiale si mescola a quello del maiale e della scrofa. La Dea si presenta spesso sottoforma di una Scrofa, che forse era la personificazione dell’antico culto femminile. Con la sovrapposizione indoeuropea, la figura del cinghiale ha preso il posto delle raffigurazioni della scrofa.
La scrofa è legata al ciclo lunare e alla femminilità feconda e aggressiva, mentre il cinghiale è connesso con il ciclo solare, con il Dio, con la frenesia riproduttiva maschile e l’aggressività dei guerrieri. I Celti, nonostante l’apparente contrapposizione, seppero armonizzare nella loro tradizione spirituale e sociale il “regno della luna-scrofa” preindoeuropeo con il “regno del sole-cinghiale” indoeuropeo, equilibrando le energie femminili e quelle maschili.
I miti relativi a questo periodo vedono protagonista non solo il Dio nei suoi due aspetti, ma anche la Dea. Ella, che ci ha mostrato finora il suo aspetto di Anziana (Ceridwen, la Bianca Scrofa), torna a mostrarci il suo volto di Vergine (Blodeuwedd, la Fanciulla dei Fiori).
In tutta l’Europa si trovano miti che narrano l’uccisione della Vecchia, Regina dell’Inverno, da parte della Regina dell’Estate, la Fanciulla dei Fiori. Non si tratta sempre di un’uccisione: nel caso delle Dee Vergini come Afrodite (dea della Bellezza e dell’Amore), o Artemide (la Vergine Cacciatrice dall’Arco d’Argento), esse riacquistano la loro verginità tramite un bagno purificatore. Non dimentichiamo che, per conquistare la sua amata, oltre che liberare Mabon e lanciarsi nella Caccia al Cinghiale Cosmico, Kulhwch deve uccidere la Megera, “la Strega Nera, figlia della Strega Bianca, che dimora ai confini dell’Inferno” e ottenerne il sangue. Come la Scrofa, questa Megera è la manifestazione sterile della Dea, quindi di Cailleach, di Ceridwen, ostile alla vita ed alla crescita, e deve essere ritualmente uccisa (allo stesso modo del Cinghiale) prima che la Dea possa apparire come benevola Fanciulla dei Fiori. Molti spettacoli relativi a questo periodo inscenavano la distruzione della Megera, il cui dominio era ormai alla fine. In Scozia la Cailleach (solitamente rappresentata da un uomo) era scelta per estrazione casuale e veniva “uccisa” passando brevemente su un falò. Sull’Isola di Man, la Megera appariva come la Regina d’Inverno che col suo esercito di seguaci combatteva contro la Regina dell’Estate.
Non a caso nei calendari della Scozia gaelica del diciannovesimo secolo troviamo che l’ultima settimana del mese di Cutios è denominata an Chailleach, indicando appunto la Megera e il suo ultimo periodo di dominio sul mondo.

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Nel ciclo lunare di Kondratiev, questa è la Luna del Falco, associata, nel canto di Amairgen, al verso che recita “Sono un falco su una rupe”. Il falco è il secondo dei quattro animali sacri citati nella composizione di Amairgen. In altri contesti, come nelle storie di Fintan Mac Bòchra e Tuan Mac Cairill, al suo posto vi è un’Aquila. Secondo Taraglio infatti, il falco assume nella tradizione celtica irlandese, lo stesso valore dell’aquila, essendo entrambi animali solari; pare che l’antico termine irlandese séig denotasse una varietà di uccelli da preda fra cui probabilmente l’aquila.
Con la scorsa lunazione abbiamo sperimentato la nostra rinascita spirituale, e siamo entrati nella fase di crescita e affermazione. Come un bambino appena nato, dobbiamo adesso conquistarci il nostro spazio nel mondo, e nutrirci a tutti i livelli per rafforzare il nostro corpo e il nostro spirito.
La Caccia diventa quindi, prima di tutto, lo strumento tramite cui delimitiamo il nostro territorio e ci procuriamo il cibo necessario alla nostra sopravvivenza. Oggi si tratta di un simbolo, ma dobbiamo sempre ricordare che per le popolazioni antiche, così come per gli animali, la caccia è una vera e propria attività di sostentamento, prima ancora che un’attività simbolica. Le parole chiave diventano quindi Conquista e Nutrimento.
Conquista dell’Amore, Conquista del Territorio; ma anche Nutrimento, perché, nonostante non siamo ancora nella Stazione del Raccolto presieduta dalla Madre Rhiannon, siamo comunque nel periodo in cui si apre la metà luminosa dell’anno e la stagione estiva, che fornirà il sostentamento e i raccolti per tutto l’anno.
Il Falco e l’Aquila possono aiutarci ed introdurci a queste difficili imprese, che troveranno pieno compimento nel prossimo mese, con la Luna dei Fiori e il Matrimonio Sacro. Vista acuta, astuzia, perspicacia, sorveglianza vigile, capacità di volare in alto, leggerezza, forte presa in volo, rapidità nell’agire, prontezza di riflessi… Questi animali sono i grandi predatori del cielo e rappresentano dei potenti alleati quando ci si avventura in nuovi territori. In lingua celtica, il detto “gettare uno sguardo d’aquila su qualcuno” significa lanciare un’occhiata amorosa e l’aquila è perciò anche simbolo dell’amante.
Nei racconti che abbiamo citato, ci sono numerosi riferimenti a questi uccelli. Ne L’Isola dei Potenti, l’anima di Llew si incarna in un’aquila dopo essere stato ucciso da Goronwy e Blodeuwedd. In Kulhwch ac Olwen, l’aquila viene indicata come una delle creature più antiche del mondo, più giovane solo del Salmone (e in effetti, prendendo in considerazione solo le lune con nomi di animali, la lunazione del Salmone è stata posizionata immediatamente dopo a questa). Prima dell’aquila abbiamo il gufo (e la civetta è un simbolo di Blodeuwedd), e prima ancora un cervo (altro animale associato a questo periodo). Olwen viene descritta con “occhi come quelli di un falco e lo sguardo brillante come quello di un falcone adulto”. Inoltre, sempre in questo racconto, compare il personaggio di Gwalchmai (“Falco di Maggio”), uno dei principali compagni di Artù nella tradizione gallese. Gwalchmai assiste l’eroe Kulhwch nel conquistare la Fanciulla dei Fiori Olwen; secondo Kondratiev, dai romanzi continentali (dove egli è noto come Gawain, forse dal cornico Gwalghwynn o dal bretone Gwalc’hwenn, “Falco Bianco”) è evidente che egli era un tempo il protagonista principale di tale cerca.
Il “Falco di Maggio” è dunque il catalizzatore finale nel cambiamento da giamos a samos: è la sua azione decisiva e piena di volontà a liberare le energie di crescita della Terra dal suo esilio sotterraneo e a permettere di manifestarsi all’amorosa stagione piena di attività che è l’Estate; egli fornisce l’impeto finale, l’ultima spinta.


Toro: influssi e mitologia

Questo è il periodo degli odori, dei sapori e degli amori. Il ciclo vegetale è avanzato e si prepara alla fruttificazione, e siamo nel pieno della fase espansiva, della conquista del territorio, della fertilità, nel rispetto del simbolismo che la tradizione assegna alla prima Terra dello Zodiaco, il Toro, associato a questa lunazione. Il nome stesso, Taurus o Toro, ha la stessa radice di Terra.
Il toro era un simbolo del Dio Bel, Beli o Belenos (“luminoso”), a cui è dedicata la festività di Beltane (che significa letteralmente “fuoco di Bel”), che si svolge in questo periodo.
A proposito della figura del toro nella mitologia, Robert Graves scrive: “Il fatto che un verso della Canzone di Amairgen contempli le due varianti “cervo dai sette palchi” e “toro dalle sette lotte” suggerisce che nell’età del Bronzo, in Irlanda, come in Grecia e a Creta, questi due animali fossero sacri alla Grande Dea. Nella Creta minoica il toro si impose come Minotauro, “Minosse-Toro”, ma c’era anche un Minelaphos, “Minosse-Cervo”, che figurava nel culto della Dea lunare Britomarte (assimilata ad Artemide). […] L’espressione “toro della lotta” pare essere diventata, in composizioni più tarde, un titolo sacro, come “falco” e “aquila”, piuttosto che una metafora laudativa.” Il verso citato della Canzone di Amergin recita “Am dam secht nd’írend”; in effetti, la parola dam può significare sia “cervo”, sia “toro”, sia “bue”.

Una curiosità: esistono rappresentazione celtiche in cui un toro e un cervo vengono a nutrirsi da un sacco (di cui parleremo più avanti), mentre altre in cui due serpenti tendono verso un sacco o una coppa da cui sgorga una sorgente a cui si abbeverano un cervo e un toro. Il toro è un rappresentante delle genti dedite all’agricoltura, piuttosto che alla caccia, il cui emblema è appunto il cervo.
Poco più avanti, Graves riporta un episodio della saga di Cuchulainn, La Guerra dei Tori, scrivendo: “All’epoca dell’eroe dell’Ulster Cuchulainn (la cui morte avviene, secondo la tradizione nel 2 d.C.) il culto del toro regale era ormai ben consolidato. Il destino di Cuchulainn era legato a quello di un vitello bruno, figlio del famoso toro bruno della regina Medb. La Morrigan quando incontrò per la prima volta Cuchulainn, lo avvertì che sarebbe vissuto solo sino a quando il vitello avesse compiuto due anni. L’episodio centrale della saga di Cuchulainn è appunto la Guerra dei Tori, combattuta tra l’esercito di Medb e quello di suo marito, il re Ailill, in seguito ad un futile litigio a proposito di due tori. Alla fine il toro bruno uccide il rivale dalle corna bianche, il quale, considerandosi troppo nobile per servire una donna, aveva abbandonato la mandria di Medb per quella di Ailill. Impazzito dall’orgoglio, il vincitore carica una roccia e si fracassa il cranio. Gli succede il suo vitello. La Guerra dei Tori contiene un esempio dell’intricato linguaggio del mito: il toro bruno e quello dalle corna bianche erano in realtà porcari reali che avevano il potere di mutare forma. Sembra che in epoca antica la figura del porcaro godesse di una posizione del tutto differente a quella che emerge dalla parabola del figliol prodigo: egli era in origine un sacerdote al servizio della dea della morte, il cui animale sacro era il maiale.”

Oltre al mito del Minotauro, si riportano al Toro tutti i miti primordiali connessi alle divinità femminili agricole (la Dea-Terra e la Dea-Luna come principi femminili), le quali sono poi confluite nella Venere terrestre (cioè l’amore come forza generatrice); Venere è anche il pianeta che regge questo segno.
In uno dei miti più antichi la dea figurava come divinità lunare che, in forma di vacca, si accoppiava con il dio sole in forma di toro; si pensi al glifo astrologico di questo segno, che è l’insieme del cerchio solare (la testa) e di una mezza luna (le corna). Esso è la stilizzazione della testa del bue o della vacca, che compare come elemento sacrale in tutte le antiche religioni legate al culto della terra e della fertilità.
La Vacca è l’incarnazione della femminilità nel suo aspetto di abbondanza, e perciò simbolo della Dea. I Celti vedevano in essa l’incarnazione del dono della fecondità della Terra, il nutrimento e il sostentamento che la Dea concede agli uomini attraverso la fertilità del suolo, e vi sono numerose leggende che lo dimostrano, , specialmente quelle che narrano di come persone, eroi e dèi vengano sfamati e rinvigoriti dal latte di mucche fatate.
Non è raro trovare nella mitologia Dee-Mucca. L’irlandese Flidais (“Padrona del Cervo”), signora degli animali e incarnazione della fecondità e delle libertà della natura che percorreva le campagne su un carro trainato da cervi soprannaturali e possedeva una mucca in grado di alimentare trecento persone per notte. L’irlandese Boann ,“Colei dalle Bianche Mucche”, era una Dea dell’acqua che diede origine al fiume Boyne (abbiamo già visto il mito legato a questa dea nell’articolo sulla Luna del Diluvio), che nutre la terra, come il latte nutre un bimbo. Rea, la Dea Madre di Creta, spruzzando abbondantemente il cielo di latte dopo la nascita di Zeus diede vita alla Via Lattea. La greca Io, la candida vacca lunare che mutava colore dal bianco (Vergine-Luna Crescente), al rosso (Madre-Luna Piena) al nero (Anziana-Luna Calante). In Irlanda, Io era chiamata Glas Gabhnach, “la verde chiusa nel recinto”, perché, pur dando latte a fiumi non partorì mai un vitello (Io è una dea vergine) e che diede alla Via Lattea il nome di Bothar-bò-finné, “sentiero della vacca bianca”. Le irlandesi Bò Find (“Mucca Bianca”), Bò Ruadh (“Mucca Rossa”) e Bò Dhu (“Mucca Nera”) che rappresentano la Dea Luna nei suoi tre aspetti. E ancora: l’egizia Hathor, dea dell’amore a cui erano sacre le mucche, la dea Damona, il cui nome significa “Mucca Divina” o “Mucca Bianca” e le stesse Iside ed Era, talvolta venerate nell’aspetto di mucche.
Anche il dio Manannan, oltre a possedere “sette maiali magici in grado di nutrire il mondo”, aveva delle mucche, le crodh mara (“il bestiame del mare”), tre delle quali erano una bianca, una rossa e una nera.

In un episodio della saga di Cuchulainn, egli (che come figlio di Lugh riveste il ruolo di Maponos) e i suoi compagni fanno una rapida incursione nell’Altromondo, riportando la vergine Blathnat assieme ai suoi attributi. Il nome di questa dea significa Piccolo Fiore, e probabilmente corrisponde alla Blodeuwedd gallese, rappresentando la Vergine dei Fiori. Si narra che ella viaggiasse con tre mucche attaccate al suo calderone magico e che esigesse che gli eroi la servissero con imprese di forza sovrumana. Cuchulainn e i suoi compagni, insieme ad ella, portano sulle terra le tre mucche, simbolo dell’energia femminile che alberga nel sottosuolo e nelle profondità, e il calderone, simbolo di abbondanza. Troviamo quindi una struttura simile a quella del racconto di Kulhwch ac Olwen, in cui altre prove che Kulhwch deve affrontare consistono nell’ottenere il cesto di Gwyddneu Garanhir (“se il mondo intero dovesse averne bisogno tutti vi troverebbero dentro il cibo che desiderano”), il corno di Gwlgawd Gododin (“per servire le bevande al matrimonio di Olwen”), e il calderone di Diwrnach Wyddel (“dove cucinare il cibo per il banchetto nuziale”).
Se in mano a Ceridwen esso era il Calderone dell’Ispirazione, associato al lavoro interiore svolto nei mesi scorsi, ora esso si manifesta come Calderone dell’Abbondanza, associato a Dagda. Dagda è un Dio Solare associato a questo periodo, padre di Oengus Mac Oc (il corrispondente irlandese di Mabon) detto Mac in Dà Oc (“figlio dei due giovani”). Dagda concepì Oeungus nell’unione con la Dea Boann, o, in altra versione, con la Dea Morrigan, dopo aver dato prova di voracità, mangiando con un grande mestolo (nel quale potevano stare sdraiati un uomo e una donna) una quantità enorme di porridge. Naturalmente nel soprannome di Oengus, il termine “giovani” non viene usato in riferimento all’età delle due divinità, dato che esse sono senza tempo, ma piuttosto all’unione della Coppia Divina.
In effetti un tempo la mucca era associata a Morrigan, il cui nome significa “Grande Regina”, prima che quest’ultima assumesse il ruolo di Signore della Morte e della Battaglia, quando ancora rappresentava la Sovranità, a cui doveva unirsi il re all’atto della salita al trono. E’ probabile che Morrigan sia passata nella Saga di Artù nel personaggio di Morgana, e si narra che Gawain fosse uno dei cavalieri di Morgana e che venne sostituito dalla figura di Galahad nella cerca del Graal perché considerato troppo vicino al paganesimo.
Un’altra immagine ben nota del Calderone associata alla metà luminosa dell’anno è quello della Cornucopia, o Corno dell’Abbondanza, che trabocca di cibo e bevande non appena lo si desideri, e che è in realtà non è altro che un corno di vacca. Ma anche il Sacco di Rhiannon, nel racconto del primo ramo del Mabinogion Il Principe dell’Annwn, può essere considerato assimilato al Calderone. Come sappiamo, per ingannare Gwawl, e poter portare Rhiannon nel mondo degli uomini e sposarla, Pwyll si presenta al banchetto nuziale di lei e Gwawl, chiedendogli di riempire il sacco che la dea gli aveva regalato con del cibo fino all’orlo. Ma il sacco è in realtà fatato, e nonostante ogni boccone di cibo venga lì riposto, esso rimane vuoto. Alla fine con uno stratagemma, Pwyll farà cadere anche Gwawl dentro al sacco, e riuscirà a sposare Rhiannon. Parlando di questa Dea, Taraglio scrive: “Rhiannon è legata al simbolo celeste degli uccelli. Infatti, nel racconto di Kulhwch ac Olwen vengono citati gli uccelli di Rhiannon, magici volatili capaci di risvegliare i morti e far addormentare i vivi per sette anni in un sonno beato, facendo dimenticare i momenti dolorosi e annullando il tempo. […] Spesso è conosciuta con il nome di Rigantona, “Grande Regina”, lo stesso dell’irlandese Morrigan”. E’ interessante notare il legame originario tra Morrigan, signora dei corvi, e Rigantona/Rhiannon, signora degli uccelli, nel loro aspetto di Sovranità. La stessa Griannon, Grainne o Grania, signora del grano, del raccolto e del sole splendente (un po’ il corrispettivo di Demetra, che come sappiamo è associata a Rhiannon), nel racconto Diarmuid e Grainne è chiamata “figlia del Re”, a sottolineare il suo legame con la Sovranità. Tutte le donne irlandesi erano considerate figlie di questa dea e per questo vivevano nelle cosiddette “case del sole”, griannon o griabnan, case aperte, senza tetto, a sottolineare il rapporto con il sole, e quindi con il cielo e con gli uccelli.
E’ plausibile pensare che il sacco di Rhiannon, sia lo stesso che compare nel terzo ramo dei Mabinogion associato a Manawyddan, suo consorte. Il corrispettivo irlandese del gallese Manawyddan, è Manannan, un eroe solare goedelico predecessore di Fionn e Cuchulainn, e anche a lui è associata una magica sacca fatta di pelle di gru, in cui egli portò i “tesori del mare” (ossia l’alfabeto segreto dei popoli del mare). In questa veste però, la sacca torna a rappresentare il Calderone dell’Ispirazione.
A proposito della gru, in La Dea Bianca Graves scrive: S [il mese del salice] è il mese in cui gli uccelli fanno il nido. Nel Can y Meirch (“Canzone dei cavalli”) di Gwion è interpolata una serie incompleta di versi introdotti da “io sono stato”, uno dei quali suona: “Io sono stato una gru su un muro, mirabile a vedersi”. I salici sono associati alla Dea e le gru depongono le uova in boschetti di salice. Esse erano animali sacri per i greci. “Una gru compare come parte di un bassorilievo gallico a Parigi e in un altro a Trèves, associata al dio Eso e ad un toro.
Gru, falco o avvoltoio? E’ una domanda importante. […] Il termine gallese comune per falco è gwalch. […] I nomi mistici Gwalchmai (“falco di maggio”), Gwalchaved (“falco d’estate”), meglio noto come Sir Galahad, e Gwalchgwyn (“falco bianco”), meglio noto come Sir Gawain si comprendono assai meglio se letti alla luce di questa formula calendariale”.

La prima impresa di Fionn Mc Cumhaill (o Finn Mc Cool), il cui vero nome era Demne (“Daino”), fu quella di impadronirsi della borsa dei tesori del clan rivale (il clan di Morna), borsa fatta con pelle di gru che portò a suo zio e ad alcuni anziani capi del clan di suo padre, mentre lui si diresse verso le sorgenti del fiume Boyne per imparare la poesia. Questa borsa divento poi la Sacca di Gru o Sacca del Tesoro dei Fianna, che conteneva diversi oggetti dalle proprietà magiche, alcuni dei quali appartenenti a Manannan. La leggenda vuole infatti che questa borsa sia stata confezionata con la pelle della Dea Aoife. Aoife sposò Llyr, e, per gelosia, trasformò i suoi figli adottivi in cigni. Poi sposò Manannan Mc Llyr (o, in altre versioni, divenne amante di Ilbrec, figlio di questo Dio), e si narra che gli rubò l’Alfabeto Segreto della Conoscenza agli Dei per donarlo agli uomini. Per questo fu punita trasformata in una gru, ma ella confezionò una sacca con la sua stessa pelle, e riuscì a donare agli uomini l’alfabeto che aveva rubato, prima di essere uccisa.
Quindi, la sacca di gru torna ciclicamente a rappresentare il Calderone dell’Ispirazione (quando contiene l’alfabeto) e quello dell’Abbondanza (quando contiene cibo o tesori). La gru è un animale solare che annuncia e reca nuova vita come l’airone e i cigni. Di essa, Taraglio scrive: “Appare talvolta sulla schiena di cavalli dalla testa umana o di tori, come il Tarvos Trigaranus (il “Toro dalle Tre Gru”), e ha un legame con il calderone, simbolo di iniziazione e di trasformazione. […] I suoi tre colori, bianco, rosso e nero, la fanno una degna rappresentante della Dea”.

Note: Testo di Jlandra.
Vietata qualsiasi riproduzione senza il consenso dell'autrice.


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