Ynis Afallach Tuath

Il re Sacro: il perno delle antiche società

Articoli / Celti
Inviato da Argante 14 Giu 2009 - 13:39

Premessa:

“Conoscere bene una cosa sola significa avere una mentalità barbarica: civiltà significa anche saper mettere in armoniosa relazione con un sistema di pensiero umano centrale ogni sorta di esperienza. L’epoca presente è particolarmente barbara”

Robert Graves


Da molto tempo lavoro a questo articolo. Il tema attorno al quale ruota è certamente uno dei più affascinanti del paganesimo. La sacralità di un uomo che assume in sé caratteristiche divine e responsabilità sovraumane: il Re Sacro. Per tutto questo tempo ho sempre tenuto a mente la breve citazione sopra riportata. L’epoca presente è particolarmente barbarica non solo per la non conoscenza che dilaga, ma anche per la profonda convinzione che si debba sempre e per forza essere ‘esperti’ in qualcosa di ben preciso e che tale sapere sia sufficiente, senza rendersi conto di come tutti gli elementi delle nostre esistenze siano legati ed annodati strettamente tra loro e di quanto sia necessario spaziare con la mente in molti, moltissimi diversi campi. Mi sono spesso chiesta se non avessi lasciato fuori da questo articolo elementi importanti, o se non mi sarebbe prima o poi capitato di non interpretare nel modo giusto i vari testi consultati.. poi ho cercato di far mia una consapevolezza: ciò che affascina del Re Sacro non è il suo sacrificio, non sono le innumerevoli prove che deve sostenere, non sono le sue privazioni, o gli onori che gli vengono riservati… Ciò che oggi affascina di questa figura è la sua vicinanza alla Madre, il suo rapporto esclusivo con Lei. Affascina l’idea di uomo mortale che siede accanto alla divinità perché ne è degno ed in lui scorrono libere le forze primordiali delle Antiche Armonie. Un uomo libero che vive così profondamente il suo essere custode del popolo e della terra da non temere alcunché. Un uomo che in sé è riuscito a far sua l’interezza della creazione, in ogni sua sfaccettatura, colui che ‘ è riuscito a saper mettere in armoniosa relazione ogni sorta di esperienza’.

Conoscere perfettamente gli elementi costitutivi di un tale mandato è certamente lodevole, ma lentamente si è fatta strada in me l’idea che forse è più importante ancora riuscire a legare tra sé le diverse conoscenze che ho su questo argomento; non solo quindi la storia, l’archeologia e la mitologia … ma lo spirito, la conoscenza che viene dall’istinto e dal ‘sentire’.



“Il sovrano è il perno su cui poggia la bilancia del mondo”

Il Re Sacro è il ponte tra la divinità Madre e il popolo figlio, egli è Padre amorevole, sposo impeccabile, guardiano temerario, guerriero feroce, non teme alcun sacrificio per proteggere la Sua Sposa e il suo popolo. E’ uomo libero e consapevole, ma la sua libertà è quella dello Spirito, poiché nel mondo egli invece è costretto da innumerevoli limitazioni (nel mondo celtico esse vengono chiamate geis – geasa) di varia natura.
In ogni parte del mondo, in ogni epoca e società, dalle più antiche alla più recente, colui che diviene Re Sacro viene assoggettato a divieti spesso insostenibili o nella migliore delle ipotesi apparentemente insensati.
James Fraser nel Ramo d’Oro ci dona una splendida spiegazione di ciò che rappresentava questa figura e del perché venisse così ‘mortalmente torturata’: “ La persona del Re è concepita come il centro dinamico dell’universo dal quale si dipartono linee di forza che si irradiano in tutti i punti del Cielo; ogni suo gesto, quindi – volgere il capo, alzare una mano – si ripercuote immediatamente, e, talvolta, con conseguenze catastrofiche, su qualche parte della natura. Il sovrano è il perno su cui poggia la bilancia del mondo, e la minima irregolarità da parte sua può sconvolgere quel delicatissimo equilibrio. Occorre quindi la massima attenzione, sia da parte sua che nei suoi confronti; e tutta la sua esistenza, fin nei minimi particolari, deve essere regolata in modo da evitare che un suo gesto, volontario o involontario, possa alterare o turbare l’ordine prestabilito della natura”.

Il Re in pratica ha potere di vita e di morte sulla creazione. Le sue mancanze distruggono i raccolti, richiamano pestilenze, carestie e sterilità delle donne e della Terra, mentre il suo buon operato garantisce raccolti ricchi e sani, donne fertili, salute sul popolo e buona sorte.
Per tutte queste ragioni egli deve essere perfetto non solo nel suo agire, ma anche nel corpo, poiché, a ben vedere, tale corpo alberga una divinità. Il Re Sacro è, come abbiamo visto, un re Solare, ma soprattutto è un uomo – Dio. Egli deve quindi essere ucciso “appena le sue forze danno segni di cedimento, e la sua anima trasferita nel corpo di un successore vigoroso, prima di venire seriamente danneggiata dall’incombente decadimento. (…) se infatti egli muore di malattia, la sua anima abbandonerà necessariamente il corpo in condizioni di estrema debolezza e spossatezza e, così infiacchita, continuerà a trascinare un’esistenza languida e apatica in qualsiasi altro corpo venga trasferita. Invece uccidendo l’uomo – Dio si era, in primo luogo, sicuri di catturarne l’anima uscente e trasferirla in un degno successore; e, in secondo luogo, eliminandolo prima che perdesse le forze, avrebbero sicuramente evitato che il mondo si deteriorasse come si deteriorava l’uomo – Dio”. (James Frazer)

Si delineano così alcune delle caratteristiche fondamentali di questa figura:
- un profondo, istintivo e puro legame con la Terra e il Popolo
- la necessità della sua perfezione in quanto uomo - Dio
- le sue limitazioni (geasa)
- il sacrificio ultimo rituale
- la successione


Ognuno di questi elementi implica per lo studioso un lungo viaggio attraverso i miti del nord, dal Galles all’Irlanda, per poi avventurarsi nei paesi caldi dell’area mediterranea, seguendo la scia di pensatori quali Robert Graves, ed accettando la possibilità che forse, mai completamente, nell’epoca moderna, si potrà comprendere l’universo profondamente magico nel quale viveva la figura del Re Sacro. Un tale ideale di perfezione e dedizione è oggi difficile da accettare, e addirittura, potrebbe risultare quasi barbarica la fine destinata a questi uomini coraggiosi e ricchi di spirito, umanità e ‘comprensione’. Uomini che reggevano l’equilibrio del mondo sulla punta di un dito, sempre in bilico tra vita e morte, sommi onori e massime privazioni, ben consci che l’ultima cosa loro richiesta, sarebbe stata la vita stessa. O almeno così nelle più antiche culture, poiché, come vedremo, con il passare dei secoli, il sacrificio del Re Sacro divenne simbolico e non più reale. Inizialmente accadde sostituendo la figura del re con un rimpiazzo umano, poi animale, fino a quando l’uccisione non divenne che un mero simbolo, un passaggio tra una periodo di regno e un altro.

“…sedersi in autunno sui tumuli sepolcrali della sposa di Maine”

Le antiche mitologie sono colme di Re Sacri: Llew figlio di Arianrhod nel Galles, Artù, Gesù stesso, Eracle, Achille, Bran… ma anche la storia ci ricorda l’esistenza di molti Re Sacri. Di alcuni non sono rimaste che le tombe, di altri i nomi e frammenti delle loro vite. Nel libro di Acaill, ad esempio, si narra di come nessuno che presentasse una malformazione fisica potesse regnare in Irlanda a Tara, e di come quando il grande re Cormac Mac Art perse un occhio abdicò seduta stante.
Sono giunti fino a noi anche i ‘geasa’ ai quali erano sottoposti i Re delle quattro province di Leinster, Munster, Connaught e Ulster (le province dell’Irlanda).

Ricorda Frazer: “…a Tara, l’antica capitale di Erin, il re d’Irlanda doveva essere in piedi prima del sorgere del sole; non poteva sbarcare a Magh Breagh di mercoledì o andare in barca il lunedì dopo Beltaine. Il re del Leinster non poteva girare attorno a Tuath laighean in senso antiorario di mercoledì, né accamparsi per nove giorni sulle pianure di Cuallann. Al re del Munster era proibito banchettare di notte all’inizio della mietitura in vista di Geim a Leitreacha, o accamparsi per nove giorni sul Sinir. Il re del Connaught non poteva indossare vesti maculate o sedersi in autunno sui tumuli sepolcrali della sposa di Maine. Al re dell’Ulster era infine vietato di ascoltare il frullio d’ali degli stormi di uccelli di Linn Saileach dopo il tramonto, o bere l’acqua del Bo Neimhidh fra un’oscurità e l’altra”.

Limitazioni a noi incomprensibili, ma che acquisirebbero un senso qualora si riuscisse ad intuire l’aura di sacralità che possedevano questi uomini, l’enorme potere che padroneggiavano, ovvero il potere dell’equilibrio, della consapevolezza delle forze che regolano la natura e di come ogni minimo gesto possa influenzarle. Questi uomini vivevano in un’epoca nella quale le energie scorrevano più libere e selvagge, quasi visibili ad occhi umani, e loro potevano toccarle, manipolarle, ma solo loro, poiché solo loro erano i prescelti sposi della Madre Primordiale, suoi figli perfetti e suoi Compagni, spiriti divini incarnati. Un mondo che seguiva regole spirituali ben precise, un universo distante dal nostro, ormai alquanto distaccato dai ritmi naturali e pressoché ignaro delle Antiche Armonie, di quegli antichi equilibri che regolavano l’esistenza umana, animale e vegetale, così nella materia come nello spirito. Equilibri che dipendevano dal Sacro Rapporto del re con la Sua Sposa e con il suo popolo.

“nel freddo Nord, tra le stelle, il re attende di rinascere”

Dopo aver trascorso l’intera vita sottoponendosi al sacrificio dei geasa (in altre culture tali tabù erano assai più duri e violenti, fino ad arrivare alla proibizione del Re di toccare terra con i piedi, imponendogli quindi l’immobilità o il trasporto tramite portatori, nella migliore delle ipotesi egli doveva camminare su stuoie o tappeti…), al re Sacro veniva chiesta la vita. Quando la forza della gioventù iniziava ad abbandonarlo, lo attendeva, come abbiamo già visto, la morte violenta per liberare l’anima e permetterle la rinascita in un corpo sano e giovane.

Cosa resta di questi sacrifici? Come avvenivano? Cosa implicavano?
Il più delle volte, cercando informazioni sul Re Sacro, ci si imbatte in espressioni quali “sacrificio del re della quercia”, “successioni dei re della quercia” oppure collegamenti alla figura simbolica del cervo e alle corna del cervo.

Uno dei monumenti funerari più noti è l’antico complesso irlandese di New Grange: quando venne scoperto nel 1699, la camera sepolcrale alla fine dello stretto corridoio (New Grange viene definita tomba a corridoio), così ci narra Graves, conteneva tre bacini di pietra a forma di barca, con i lati incisi a fasce, due scheletri adagiati accanto all’altare centrale, ossa e diverse corna ramificate di cervo. Graves ipotizza che tali corna facessero probabilmente parte dell’acconciatura del re sacro, e chiama ad avvalorare la sua tesi tutte quelle divinità e personaggi storici, la cui iconografia presenta corna: da Cernunno a Dioniso, fino alle monete che rappresentano Re Alessandro.
Graves attribuisce quindi alle sepolture di New Grange un carattere regale e sacrale, lasciandoci intuire come i Re Sacri di Irlanda dell’Età del Bronzo fossero monarchi di tipo solare. In questa tomba troviamo tra l’altro innumerevoli spirali incise ovunque e i bacini ossari a forma di barca paiono quasi voler sottolineare il ritorno dell’anima attraverso le acque dell’aldilà: il re Solare che ritorna alla Madre Universale, colei che risiede nel Nord.

Ci spiega Graves: “Perché il nord? Perché è la direzione da cui non risplende mai il sole (…). Il dio solare nasce a mezzo inverno (solstizio di inverno), quando il sole è più debole e ha raggiunto la sua stazione più meridionale; il suo rappresentante, il re sole, è ucciso al solstizio d’estate, quando il sole raggiunge la sua stazione più settentrionale. Il luogo di sepoltura del re defunto pare essere sempre un tumulo su un’isola, marina o fluviale, dove il suo spirito viveva sotto la protezione di sacerdotesse oracolari, ma la sua anima si trasferiva tra le stelle e là attendeva di rinascere in un altro sovrano. Ecco il perché dei bacini di pietra a forma di barca. (…)”
Prosegue Graves analizzando la particolare sepoltura rinvenuta a Glastonbury nel XII secolo ad opera dei monaci dell’Abbazia. A prescindere dal fatto che fosse o meno la tomba di re Artù, è comunque interessante notare come essa fosse una tomba regale, la tomba di un personaggio di grande importanza. La bara era stata ricavata dal tronco scavato di una quercia, esattamente come la bara della sepoltura di Gristhorpe, presso Scarborough, la quale conteneva lo scheletro di un uomo coperto di rami di quercia e da altri rami che parevano essere di vischio.

Il re, nel suo ultimo viaggio, viaggiava quindi verso la corona boreale, la costellazione della dea Arianrhod, colei che risiede nel Castello a Spirale, una delle più splendide e luminose rappresentazioni della Madre Primordiale, di colei alla quale si ritorna, di colei che ci genera e ci inizia attraverso le prove dell’esistenza, di colei che Vergine dona la vita, di colei che sta all’inizio di ogni cosa.

Abbiamo quindi qui presenti i simboli della rigenerazione (le corna di cervo), del viaggio (la barca) e del sacrificio: la quercia. Per meglio comprendere il legame della quercia col re sacro dobbiamo però prendere in considerazione altri miti, di culture affini a quella celtica, ma assai distanti.
Ma partiamo proprio dai celti. Come abbiamo visto, nella sepoltura di Gristhorpe è presente il vischio. La cerimonia druidica del taglio del vischio dalla quercia rappresentava secondo Graves e Frazer l’antico rituale dell’evirazione del vecchio re da parte del suo successore (vedi ad esempio il mito dell’evirazione di Urano ad opera del figlio Crono, a sua volta soppiantato da Zeus), essendo il vischio un simbolo eminentemente fallico. Per approfondire tale discorso dobbiamo spostarci…
“Dopo la castrazione il re sacro veniva mangiato eucaristicamente, come testimoniano parecchie leggende della dinastia pelopide. Ma almeno nel Peloponneso questo culto della quercia si era sovrapposto ad un preesistente culto dell’orzo il cui eroe era Crono e che comportava anch’esso un sacrificio umano. Nel culto dell’orzo, come in quello della quercia, il successore al titolo di re ereditava i favori della sacerdotessa della Dea Madre. In entrambi la vittima diveniva immortale e i resti oracolari venivano seppelliti su un’Isola sacra, luogo che di solito era sotto la tutela di sacerdotesse oracolari.
Con il passare dei secoli la dea Diana dei Boschi venne assimilata alla dea Danae dell’orzo e quando i druidi galli recisero il vischio con uno scomodo falcetto d’oro, essi ci confermano che il rituale della quercia si era fuso con quello del re dell’orzo che la dea Danae (Alfito, Demetra o Cerere, Ceredwen) mieteva con la sua falce a forma di mezzaluna. La mietitura significava la castrazione”
… così come poi avvenne per il taglio del vischio attraverso la medesima lama.
Ad ogni modo il mito di Crono, per certi versi figura assimilabile al gallese Bran, descrive la detronizzazione e l’omicidio rituale del re sacro nel culto della quercia e in quello dell’orzo allo scadere del suo mandato.

Sempre per approfondire il concetto di evirazione e sacrificio del re sacro, prenderemo ora in considerazione un altro personaggio mitologico assai noto: Eracle. A lui ci rifacciamo poiché è proprio a questa categoria di re sacro che appartengono personaggi quali Bran, Crono, Artù, Saturno, Llew Llaw Gyffes (figura che poi dovremo assolutamente esaminare per comprendere altri aspetti della sacralità dell’uomo sposo e guardiano della dea).

Incontriamo Eracle per la prima volta nella leggenda, nelle vesti di un re sacro di tipo pastorale, un re dotato di un gemello tra l’altro, come appare anche in altri miti. Possiede una clava di quercia e il suo primo compito è quello di chiamare la pioggia e il fulmine (la quercia è un ottimo ‘attira fulmini’). Ricaviamo tutte queste informazioni da un grandissimo numero di leggende e usanze popolari, leggende che lo collegano alla Libia, dove si pensa si sia originato il mito in epoca addirittura paleolitica.
Da Graves ora traggo il sacrificio di Eracle. E’ una lettura interessante ma abbastanza cruda… “Questo Eracle è accompagnato da dodici arcieri, tra cui il suo gemello armato di lancia, che è suo Tanis (parola irlandese che indica il successore di un re) o sostituto ed ogni anno celebra il suo matrimonio silvestre con la regina dei boschi.
Il modo della sua morte può essere ricostruito da tutta una serie di leggende, usanze popolari e altre sopravvivenze religiose. A metà dell’estate, alla fine di mezzo anno di regno, Eracle viene ubriacato di idromele e condotto al centro di un cerchio di dodici pietre disposte intorno ad una quercia, di fronte alla quale c’è un altare di pietra, La quercia è stata sfrondata fino a farle assumere la forma di una T. Eracle viene legato all’albero con funi di salice e con il sistema del quintuplice legame, che unisce polsi, collo e caviglie, ed è percosso dai compagni fino a perdere i sensi; poi viene scuoiato, accecato, castrato, trafitto con un paletto di vischio e infine smembrato sull’altare di pietra. Il suo sangue viene raccolto in un bacile e asperso sull’intera tribù per renderla vigorosa e feconda. I pezzi del corpo vengono arrostiti su fuochi gemelli di rami di quercia, accesi con il fuoco sacro, che è il fuoco, debitamente conservato, di un fulmine che ha colpito una quercia, oppure è ottenuto mediante lo sfregamento di un trapano di legno di ontano o di corniolo in un ceppo di quercia (…). I compagni si nutrono delle carni del re, i cui resti vengono poi bruciati, eccetto i genitali e la testa che, posti in una barca sono trasportati su un’isola, altre volte la testa viene invece conservata per uso oracolare. Il suo Tanist gli succede per la seconda metà dell’anno, assumendo dignità di sovrano grazie al matrimonio con la regina, che rappresenta la Dea, e all’aver mangiato qualche porzione sacra del corpo dell’Eracle. Gli succede a sua volta l’Eracle dell’anno nuovo, reincarnazione dell’ucciso, che lo decapita e ne divora il capo. Questa ripetizione del sacrificio eucaristico conferiva continuità alla regalità, giacchè ogni re era per un certo periodo il dio – sole amato dalla dea- luna regnante”.


Come già accennato questi riti così violenti vennero col tempo abbandonati, sostituendo l’uccisione con il semplice passaggio da un regno pluriennale ad un altro. La figura rappresentata da Bran e Crono che rinasceva e moriva, divenne solo lo spirito dell’Anno Vecchio,perennemente sconfitto dal luminoso Anno Nuovo, anche se degli antichi riti rimase ricordo nelle feste dei Saturnalia e del sosltizio d’inverno.
Questo tipo di Eracle viene definito Eracle agricolo, e venne poi soppiantato da un Eracle Celeste che non muore, non comunque nei modi sopra descritti.

“Il leone dalla mano ferma”: la zoppia del re.

A questo tipo di Eracle Celeste appartiene la figura chiave di Llew Llaw Gyffes, divinità figlio della Dea Arianrhod, venerato nella Britannia antica, il cui nome significa leone dalla mano ferma (ci spiega il mito come questo nome gli venne dato da sua madre Arianrhod quando egli riuscì a colpire alla zampa un pettirosso, utilizzando una fionda). La sua storia viene narrata in uno dei Rami dei Mabinogion ‘Il Romanzo di Math figlio di Mathonwy’. Noi prenderemo qui in considerazione la versione che ce ne diede Lady Charlotte Guest. In tale storia Math viene raffigurato come un re sacro di tipo ancor più arcaico, la cui forza, sovranità e valore, risiedono nei piedi. Infatti, tranne che in guerra, egli siede con i piedi poggiati in grembo ad una sacerdotessa vergine. Non narreremo l’intera vicenda (la potete trovare nella sezione Mabinogion), piuttosto ci soffermeremo sui particolari di questa sacralità, poiché essi possono apparire assolutamente in contrasto con il fondamentale principio della ‘perfezione fisica’ del candidato a divenire re sacro. Non solo Math è segnato da questa caratteristica, ma anche Llew.

Analizzare ogni sfaccettatura di tale argomento è lo scopo principe di questo articolo. Daremo qui subito la risposta al mistero, per poi addentrarci nell’analisi della storia di Llew. L’elemento che vogliamo analizzare è la ‘zoppia’ del re sacro. Ma il re non doveva essere perfetto? Si. Egli non doveva avere menomazioni, ma secondo Graves, quando alla morte rituale del re si sostituì il culto di un re che invece regnava a lungo senza morire violentemente, la morte venne sostituita dalla castrazione e azzoppamento del re. Più tardi ancora, a questi supplizi vennero sostituiti la circoncisione e l’uso di scarpe regali che Graves chiama ‘coturni’ (degli zoccoli molto alti). Ecco svelata la contraddizione. Il Re deve essere integro e morire, poi deve essere vivo ma menomato e infine egli deve solo recare addosso il simbolo della sua regalità, senza più patire sofferenze o morte. Tale simbolo è rappresentato dai coturni, o da scarpe dorate. Nell romanzo infatti Llew cuce tre paia di scarpe dorate ed è assai probabile che egli tenga per sé il terzo paio. Non a caso la Triade 24 parla di Llew come uno dei tre tinti di cremisi, ovvero uno dei tre re sacri.

Reggere il piede aveva senza dubbio uno scopo protettivo, essendo il tallone l’unico punto vulnerabile di un re sacro (questa affermazione la si fa nascere dall’esame di figure quali quelle di Achille trafitto al tallone dalla freccia di Paride, Diarmuid trafitto dalla setola del cinghiale di Benn Gulban, Ra, punto al piede dal Serpente inviato da Iside, Bran, colpito in Irlanda).
Ma perché proprio il piede, il tallone?
La risposta viene dall’analisi dei miti di Achille e di Llew…
Il discorso è alquanto complesso, vi proporrò quindi chiare citazioni tratte dalla ‘Dea Bianca di Graves’. Il fattore più importante da tener presente è come si debba essere capaci di astrarsi dal significato prosaico dei miti, per accostarsi invece al significato ‘misterico’ di cui essi sono in realtà depositari. Solo con questa ‘elasticità’ mentale sarà possibile comprendere come ogni singolo mito sia profondamente legato a pochi ed essenziali temi sacri, costanti in ogni corpus mitologico.

Ma torniamo al ‘tallone di Achille’… ci spiega Graves che ‘quando Teti sollevò Achille bambino per il piede e lo tuffò nel calderone dell’immortalità, la parte coperta dalle sue dita rimase asciutta e pertanto vulnerabile. Si trattava probabilmente del punto tra il tendine d’Achille e l’osso della caviglia, il punto in cui nella crocifissione romana, che deriva dai cartaginesi cananei, veniva piantato il chiodo che assicurava i piedi della vittima alla croce, vittima che si suppone rappresentasse anticamente proprio il re sacro annuale. La mira del piccolo Llew Llaw che colpisce il pettirosso viene lodata da sua madre Arianrhod perché, come Pettirosso dell’Anno Nuovo, egli ha colpito suo padre, cui era sacro il regolo, tra il nervo e l’osso della zampa’.

Pare proprio che sia questo particolare ad indicare come Llew sia un re sacro. L’allegoria del pettirosso sottolinea specificatamente la successione dei re sacri. Vi sono nel racconto altri particolari che se interpretati con mente aperta, richiamano il sacrificio del re: ‘il rivale di Llew, Gronw, regna come Tanist dopo l’omicidio sacrificale di Llew. Il cervo stanco che egli uccide e scuoia fuori dal castello di Llew, rappresenta Llew stesso (un cervo dalle sette lotte). Il poeta che ricorda il destino dell’Eracle pastorale comprenderà il vero significato dell’allegoria: dopo aver ucciso Llew con la lancia, Gronw lo scuoia e lo squarta e ne distribuisce i pezzi ai compagni. La spia è nelle parole usate nel racconto :” distribuire le interiora ai cani”. (…)
L’anima di Llew fugge sotto forma di aquila, come quella di Eracle e si rifugia su di una quercia. La sua resurrezione ha poi luogo nel cuore dell’inverno, nella stagione della Vecchia Scrofa.’.

Ecco presente Ceridwen, madre del grano, colei che rigenera, colei che falcia, colei attraverso la quale Llew rinasce: Ceridwen la Bianca Scrofa, la Porta Divina. Il racconto termina con l’ovvia morte di Gronw provocata naturalmente da Llew, che ritorna a regnare sul Gwynedd dopo il breve regno con la Sacra Sposa da parte del suo tanist gemello Gronw.

Sono davvero moltissimi gli elementi nel mito di Llew da poter analizzare per meglio comprendere le sfaccettature della figura del re sacro e l’alternarsi del suo tanist attorno alla Bianca Sposa, alla dea, ma non solo… sono molti gli elementi che rimandano allo strano particolare della zoppia, via intermedia tra la morte del re sacro primordiale e la formula della successione di regni di varia durata da parte dello stesso re, il quale infine non deve più morire.

‘Il bagno è un elemento che spesso si accompagna alla morte dei re sacri. Si tratta di un bagno lustrale, come quelli che devono compiere i re durante l’incoronazione, tant’è vero che Llew Llaw, quando vi è dentro, si unge. I compagni che presenziano alla cerimonia sono di solito raffigurati come satiri dalle zampe caprine. Nella storia di Llew Llaw si tratta di veri e propri capri, chiamati ad assistere al sacrificio del loro signore.’

Il capro è qui un elemento essenziale. Llew può infatti morire solo in particolari condizioni, molto difficili da realizzarsi. Blodeuwedd lo spinge ad attuare tutte queste condizioni particolari. Lo accompagna, lei Bianca Sposa e Dea, a morire, lo conduce Lei.

Ci spiega Graves: ‘Sposando Blodeuwedd, Llew sarebbe diventato un re sacro del tipo che indossa i coturni’ (ndr: o le scarpe d’oro, altro elemento presente nel racconto, Llew è infatti ottimo calzolaio che produce finissime scarpe degne di re e regine) e cammina in punta di piedi, poiché il suo piede è sacro e non può toccare terra. Gli manca però quella ferita che gli impedirà per sempre di posare a terra il sacro tallone, fosse pure per errore. Tale ferita viene provocata attraverso il rito bizzarro della ‘morte di Llew’, scivolando in bilico tra il capro e la tinozza del bagno (una versione del calderone della rinascita presieduto dalla dea Bianca).

Questa, in sintesi, l’evoluzione del Re Sacro. Riflettendo sulla sua figura e sul ruolo che incarnava, possiamo ben comprendere, come il suo potere sulla terra sia diminuito man mano che si ingentilivano le prove alle quali doveva sottostare, man mano che le limitazioni caratteristiche del suo mandato si alleggerivano. Da un mondo nel quale un uomo era consciamente pronto a donare la vita per il benessere del suo popolo, si passò ad un mondo meno violento, ma anche meno intriso di sacralità. L’uomo passò dall’essere lo sposo della Dea, a Dio vivente. Il sacrificio non venne più ritenuto necessario. La vita del Re divenne più importante del popolo e della terra. La sua iniziale purezza venne intaccata dalla brama di fama, onori e potere. La figura del re sacro decadde fino a scomparire, lasciando il posto a re tiranni che poco o nulla sapevano della sacralità del loro mandato. L’equilibrio si spezzò, la Dea uscì dalle vite dei Re, la Terra non chiamò più il suo protettore, si ammalò, e divenne terra desolata. La corona non giunse più dall’urlo delle pietre, ma dal cielo, sancendo così il patto tra il re e una divinità astratta, lontana dalle necessità del popolo, assetata solo di adorazione e dedizione.

Il re non fu più in grado di ‘mettere in armoniosa relazione ogni sorta di esperienza’…

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Fonti:
me stessa
La Dea Bianca di Robert Graves
Il Ramo d'Oro di James Frazer

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