Ynis Afallach Tuath

XIII IL CINGHIALE

Articoli / Lunologia
Inviato da Argante 27 Ott 2009 - 22:13

Am torca r gail
(Luna Piena tra l’1 ottobre e il 29 ottobre)

Benvenuta, Luna del Cinghiale!
Mentre l’anno volge al termine
e le foglie assumono i loro colori di morte,
il Cinghiale degli déi viene cacciato in tutta la Terra,
lasciando un dono di fertilità in ogni centro di potere.
Prima di dare nuovamente il benvenuto all’oscurità,
arricchiamo il mondo con un dono proveniente dalla luce.


Siamo a cavallo tra il mese di Cantlos e quello di Samonios. Il termine samonios sembrerebbe contenere la particella samo- che sia nelle lingue galliche che in indoeuropeo significa “estate” ed essendo posizionato esattamente a sei mesi di distanza dal mese Giamonios, il cui significato sarebbe “fine dell’inverno”, la traduzione che sembra essere più probabile è “fine dell’estate”. Ma secondo ipotesi sempre più accreditate tra gli studiosi, il termine irlandese samain così come il gallico samonios, pur contenendo la particella samo-, avrebbe poca attinenza con l’estate. E’ verosimile che il significato di samonios sia quello di “assemblea, riunione”, da cui l’antico irlandese samain. Anche in sanscrito sàmanam significa “assemblea, riunione, festa” e nell’antico norreno saman significa “insieme, gruppo”; la radice indoeuropea sem-, som-, sm- significa proprio “insieme”. Dal gallico samoni(o)s deriva indubbiamente il nome della festa pan celtica Samhain, dedicata ai morti. Infatti troviamo sul calendario di Coligny in coincidenza con il diciassettesimo giorno di Samonios l’indicazione trinox samo[ sindiv (trinoxtion Samoni sindiu) “da oggi la festa delle tre notti di Samonios”. Come sappiamo, la festa è celebrata ancora oggi sotto vari nomi e rappresenta il periodo in cui i veli tra il nostro mondo e quello degli spiriti si assottigliano, e quindi il momento in cui è possibile contattare le anime defunte. Ricollegando perciò la festa di Trinoxtion Samoni alla moderna festa irlandese di Samhain, e facendo riferimento poi ad allocuzioni simili in greco e in sanscrito il significato diventa “momento di incontro con gli Avi” o “riunione con i Padri” (sm-uid- e sam-vid).

Siamo nel periodo in cui le energie si invertono nuovamente, come già accaduto a Beltane. Il tema di questo mese è nuovamente la Caccia. Ma essa non è più la prova che il Dio Luminoso deve affrontare per potersi accoppiare con la Vergine. Al livello del mito, essa è la caccia che rappresenta la supremazia del Re dell’Inverno sul Re dell’Estate, ormai debole e morente. Il Dio Oscuro tornerà a ricongiungersi con la Dea, ormai non più Vergine, che continua a rappresentare la Sovranità, ma che, se prima incarnava la fertilità tipica della Terra in primavera, ora ne personifica la sterilità invernale. A livello psicologico, la caccia rappresenta il nostro lavoro spirituale di questo periodo: dobbiamo addentrarci nei recessi della nostra interiorità (la foresta) e andare a caccia delle nostre ombre più oscure, in modo da poterle abbattere durante il Confronto. Non è un caso quindi che questa lunazione sia comunemente chiamata Luna della Caccia (anche perché questo è il periodo in cui si riapre la stagione della caccia), Luna del Sangue, in riferimento al sacrificio delle prede cacciate, e Luna Rossa, colore del sangue, ma anche del vino e del mosto che fermenta nelle botti (non dimentichiamo che anche se stiamo entrando nella Stazione della Discesa Samhain resta la terza Festa del Raccolto!), e di Samhain, una delle rosse cerniere dell’anno, essendo il colore associato alla liminalità.

Nel ciclo lunare di Kondratiev, questa è la Luna del Cinghiale, associata, nel canto di Amairgen, al verso che recita “Sono un cinghiale nella furia della battaglia”. Il Cinghiale è l’ultimo dei quattro animali sacri citati dal poeta. L’abbiamo già visto in molte ambientazioni mitologiche, specialmente quelle che avevano a che fare con i “margini” dell’anno, il passaggio del confine tra Luce ed Oscurità. Nella Caccia al Cinghiale Cosmico, la creatura, che rappresenta l’interminabile continuità dell’energia divina, viene inseguita da un livello di manifestazione all’altro, con la conseguenza che cambia il modo in cui esprime la sua natura, diventando di volta in volta un essere di distruzione oscuro e ctonio e successivamente un maestro solare. Mentre a Beltane il Cervo (controparte del Cinghiale in quest’ordine simbolico) passa dall’apparizione con corna infuocate nell’Altromondo al potere legato alla terra nel cuore della foresta, così il Cinghiale diviene messaggero di morte quando a Samhain la caccia lo spinge nel regno dell’oscurità, trascinando con sé in quel buio tutti i poteri all’opera nella natura. Il Maponos, l’energia verde di samos che ha guidato la Caccia al trionfo sei mesi fa con l’aiuto del Falco di Maggio, viene ora ucciso dal Cinghiale in questa ripetizione del processo. La vittoria passa a giamos, le forze della crescita vengono bloccate, ben presto le foglie cadranno dagli alberi e le notti sempre più lunghe sanciranno il dominio dell’Oscurità.

Il Cinghiale era il cibo sacrificale della festa di Samhain, la “porta annuale fra i mondi”.

Il re Cormac, viaggiando nelle terre di Manannan, viene ricevuto come un ospite dal dio stesso che, ponendo un maiale a cuocere sul fuoco, gli rivela di possedere sette maiali in grado di nutrire il mondo. Il festino di Manannan, in cui vengono serviti i maiali dell’Altromondo che riprendono vita il giorno dopo, pronti per un nuovo banchetto, si svolgeva alla vigilia di Samhain, e chi partecipava al festino riceveva il dono dell’immortalità.

Questo animale viene perciò considerato come un animale-ponte fra il mondo sotterraneo e quello umano della sua carne, cibo del reame di Manannan (sinonimo per definire il regno dei morti, l’Altromondo).

La caccia del cinghiale agisce anche a livello spirituale, per cui il cinghiale diviene la guida che porta il guerriero-cacciatore in una Cerca nell’Altromondo, oltrepassando le porte del mondo visibile per accedere ai reami interiori. E’ qui che inizia il viaggio vero e proprio del guerriero ed è a questo livello che il cinghiale diviene un essere in grado di fare da traghettatore verso l’Altromondo.

Il cinghiale come guida del guerriero che si introduce nella foresta, simbolo del proprio intricato mondo interiore, per ottenere degli insegnamenti spirituali da una donna dei Sidhe, è presente in numerosi racconti della mitologia celtica. Molti eroi prima di compiere un’impresa importante nella loro vita si sono perduti nella foresta inseguendo un cinghiale che diviene una guida per l’eroe che giunge di fronte al proprio destino e verifica la sua regalità o il suo fallimento, simbolo quindi di riuscita o di distruzione Oltre alla storia di re Cormac già citata, la tradizione irlandese ci tramanda quella di Diarmaid e del Cinghiale Verde di Ben Gulbain, di Dermot “dalla voglia d’amore”, compagno di Oengus Mc Og, che fu ucciso da un cinghiale bianco durante una battuta di caccia, e quella di Finn Mc Cumhaill e dell’inseguimento dei magici maiali rossi del dio Oengus Mc Og da parte dei suoi cani e dei suoi guerrieri. Un’altra storia narra di Guingamor, cavaliere e nipote di Artù, che per aver rifiutato le avances della regina viene obbligato ad andare nella foresta a caccia del Cinghiale Bianco, che nessuno aveva mai ucciso e dal cui inseguimento nessuno era mai tornato. Come gli altri Guingamor si perde nella foresta dove incontra una bellissima fanciulla intenta a fare il bagno che gli offre il suo amore. Ma il cavaliere vuole tornare dallo zio e portare la testa del Cinghiale Bianco, in realtà un aspetto della stessa fanciulla fatata (quindi sarebbe più corretto dire Scrofa Bianca, ovvero Ceridwen). A quel punto lei acconsente a lasciarlo partire, avvertendolo però che dal momento del suo ingresso nella foresta egli ha perso la cognizione del tempo e che nel mondo terreno in realtà sono passati trecento anni e nessuno lo riconoscerà. Guingamor parte ugualmente con  la raccomandazione della giovane di non mangiare e bere nulla. Tuttavia il cavaliere, giunto oltre i limiti della foresta, racconta la sua storia a un vecchio carbonaio e, mangiando un frutto, cade a terra senza vita. La bella signora manda allora le sue servitrici a cercarlo e riportarlo da lei. Questa storia ricalca fedelmente quella più antica di tradizione celtica che riguarda Oísin.

Le Dee associate a questa lunazione, oltre alla già citata Ceridwen, sono le cacciatrici Artemide, Diana e Arduinna. Arduinna, alla quale era spesso associato il cinghiale, viene considerata una dea delle selve che richiedeva un tributo annuale per ogni animale ucciso nei suoi boschi ed esigeva  dal suo popolo il sacrificio di animali nelle festività. Sembra rappresenti un sorta di Diana celtica, che impugna arco e faretra e forse il suo nome significa la “Suprema Bianca”. Pare che si aggirasse fra gli alberi a cavalcioni di un orso selvatico, ma si è anche ritrovata più di una statuetta in cui cavalca un cinghiale. La dea incarna il carattere ambivalente dei Celti perché Arduinna è sia la protettrice degli animali cacciati che dei cacciatori, signora della foresta e delle forze istintuali. La si può paragonare alla dea irlandese Flidhais, la “Padrona del Cervo”.

Scorpione: influssi e mitologia

Lo Scorpione è un segno femminile, d’acqua, fisso e governato da Marte e Plutone. Il glifo è la stilizzazione delle chele e della coda velenosa; alla M della Vergine, significatrice di vita, si aggiunge la freccia mortale, legata ad un processo di dissoluzione. In tante lingue antiche e moderne la radice scr compare in termini collegati all’idea di colpire, ferire, distruggere. Questo segno è legato simbolicamente alla morte e all’oscurità. Evoca la natura in agonia, in attesa della rinascita. Il ciclo morte-rinascita, sacrificio-purificazione è raffigurato in tutti i miti affini alla simbologia scorpionica, a cominciare da quello greco relativo alla costellazione. Esso riguarda la storia di Orione, “cacciatore di Iria e Beozia e il più bello fra i mortali”. Egli si innamorò di Merope, figlia di Enopione. Quest’ultimo gli promesse in sposa Merope se egli avesse liberato l’isola dalle belve che lo infestavano. Orione eseguì questo compito, donando ogni sera all’amata le pelli degli animali uccisi. Quando ebbe portata a termine la prova, Enopione rifiutò di concedergli sua figlia, poiché ne era egli stesso innamorato, e disse che ancora altre fiere erano state viste vagare sulle colline. Orione, amareggiato, si ubriacò con il vino di Enopione e irruppe nella stanza di Merope, costringendola a giacere con lui. La storia continua ma quel che ci interessa sapere è che ad un certo punto della storia Orione incontrò Artemide, che nutriva come lui una grande passione per la caccia e che lo invitò a cacciare in sua compagnia. Ma  Apollo, temendo che sua sorella Artemide cedesse al fascino del bel cacciatore, si recò da Madre Terra e, riferendole in modo equivoco le vanterie di Orione (che diceva di voler liberare tutta la terra dalle belve e dai mostri), la indusse a scatenare contro costui la furia di un velenosissimo scorpione. Orione si difese dapprima con le frecce, poi con la spada, ma, resosi conto che lo scorpione era invulnerabile, si tuffò nel mare e nuotò verso Delo. Apollo disse allora ad Artemide: “Vedi quell’oggetto nero che galleggia sul mare nei pressi di Ortigia? E’ la testa di un malvagio chiamato Candaone, che ha poc’innanzi sedotto Opide, una delle tue sacerdotesse iperboree. Ti sfido a trafiggerlo con una freccia!”. Candeone era il soprannome beota di Orione, ma Artemide non lo sapeva. Prese accuratamente la mira, scoccò la freccia e, quando raggiunse a nuoto la sua vittima, si accorse di aver trafitto il capo di Orione. Pianse e invocò Asclepio, figlio di Apollo, perché ridonasse la vita al giovane. Asclepio acconsentì, ma fu colpito dalla folgore di Zeus prima che potesse mettersi all’opera. Allora Artemide pose tra le stelle l’immagine di Orione, eternamente inseguito dallo scorpione. Altre versioni dicono tuttavia che Orione morì per il morso dello scorpione.

Questo mito non è diverso da quelli analizzati negli articoli sulla lunazione del falco e su quella dei fiori: la prima parte della storia è identica a quella di Kulhwch, ed è sicuramente ambientata al periodo di Beltaine. Per quanto riguarda la seconda parte della storia, oltre a mostrare chiaramente la simbologia dello scorpione, è interessante riportare alcune considerazioni che Graves scrive ne “I miti greci”. Il toro, il leone, lo scorpione e il serpente marino “pare fossero le bestie con le quali Eracle combatté nel corso della prima, quarta, settima e undicesima fatica, benché il cinghiale abbia sostituito poi lo scorpione. Dello scorpione si parla soltanto nella leggenda di Orione, un altro Eracle al quale fu promessa in sposa una principessa se avesse ucciso determinati animali selvatici.” E’ un caso che sia stato proprio il cinghiale a sostituire lo scorpione? Forse si o forse no…

Graves fa altre considerazioni: “Plutarco narra che il dio egiziano Set incaricò uno scorpione di uccidere Horo, figlio di Iside e Osiride, nel periodo più caldo dell’estate e ciò spiega la morte di Orione per un morso di scorpione e l’appello di Artemide ad Asclepio (Plutarco, Iside e Osiride 19). Horo morì, ma Ra, il dio del Sole, gli ridonò la vita, e più tardi vendicò la morte del padre suo Osiride. Nel mito originale, probabilmente anche Orione tornava in vita. Orione è, in parte, Gilgamesh, l’Eracle babilonese, che secondo la decima tavoletta dell’epopea calendariale, viene assalito da uomini-scorpione: un mito che ricorda il re sacro ferito a morte quando il sole entra nel segno dello Scorpione.”

Il Calendario Arboreo Celtico: il Tasso

Graves associa a questo periodo l’edera (G, gort), mentre secondo Taraglio è il tasso (I, idho o iuhbar) ad essere legato al periodo di Samhain. Personalmente concordo con l’ipotesi di Taraglio; come scrive lo stesso Graves, il tasso è l’albero della morte in tutti i paesi d’Europa, sacro ad Ecate. Per questa ed altre sue caratteristiche che vedremo più avanti Graves lo associa al 23 dicembre, vigilia del solstizio d’inverno e notte più lunga dell’anno in cui il sole muore, e perciò giorno di morte fuori dall’anno e quindi fuori dal tempo. Ma in realtà è Samhain ad essere un giorno fuori dal tempo, dedicato alla morte e agli spiriti defunti, che non appartiene né al passato né al presente né al futuro e che quindi ben incarna il concetto di “giorno vuoto” (quello che costituiva il momento di passaggio tra due cicli e per questo  al di fuori di entrambi secondo la sequenza temporale che prevedeva il termine dei contratti dopo “un anno e un giorno”). Come ulteriore prova di questa tesi Taraglio riporta la leggenda di Oengus Mc Og. Oengus incontra e si innamora di Caer Ibormeith (Bacca di Tasso) che prende la forma di un cigno. Il padre di Caer, Ethel Anbual del Sidh Uamain, rifiuta che la figlia possa essere corteggiata da Oengus. Allora il dio prende anch’esso la forma di cigno per incontrarla il 1° novembre, periodo in cui Caer non è obbligata in forma umana.

Nell’alfabeto oghamico Idho è la lettera della morte che conclude il ciclo della ruota dell’esistenza, simboleggiato dalla spilla per fermare il mantello regale che ogni re irlandese lasciava al suo successore. Durante le celebrazioni di Samhain veniva bruciato legno di tasso per purificare il momento in cui l’anno vecchio moriva e quello nuovo stava per giungere. A Samhain iniziava anche il periodo oscuro dell’anno e  il tasso diveniva così il rappresentante della “vita nella morte”, del ciclo eterno che sembra illusoriamente finire e ricominciare.

Il tasso è un albero molto velenoso (solo le sue bacche non lo sono) e questa sua relazione con la morte lo ha reso l’albero preferito da piantare nei cimiteri; sempre per questa ragione è spesso ritrovato in contesti funerari di sepoltura. Tuttavia, poiché è una delle specie arboree più longeve del nord Europa ed è un sempreverde, la sua relazione con l’immortalità è evidente, e ciò lo trasforma in simbolo di immortalità.

Il tasso era anche un simbolo di forza proveniente dalla terra. Grazie alla sua particolare resistenza unita ad un’ottima flessibilità, il tasso era spesso l’albero preferito dagli arcieri per la costruzione degli archi, chiaramente collegati all’archetipo del cacciatore-guerriero oltre che alla morte (gli archi lunghi gallesi erano così letali da essere in grado di influenzare pesantemente le sorti di una battaglia). E’ probabile che il suo nome latino, taxus, sia legato al greco toxon, “arco”, e a toxicon (pensate anche alle parole “tossico”, “tossine”..), il veleno con il quale si ungevano le punte delle frecce.

Nel Medioevo il tasso era associato alle streghe, al regno dei morti e all’eclissi di luna o alla luna nera.

Spesso nella Gallia romanizzata questo animale viene raffigurato sotto un melo o una quercia, e secondo le antiche tradizioni esso scava ai piedi del melo per estrarre i tartufi, frutti dl fulmine. La scrofa possiede la conoscenza e la saggezza perché i nutre dei frutti che dono dell’Albero di Mugna, una grande quercia che produce magicamente ghiande, nocciole e mele al tempo stesso. Anche qui, quindi, la mela è associata alla conoscenza.

Testo di Jlandra.
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