Ynis Afallach Tuath

LA SPADA

Articoli / Avalon
Inviato da Euphorbia 30 Apr 2010 - 10:13

Miti e simbologia

La spada come simbolo di virtù e potenza ha avuto, da sempre, una connotazione maschile legata all'eroe o al capo militare. Nei secoli è stata considerata come un oggetto di culto, che permetteva di elevarsi spiritualmente e nobilitarsi. Nelle antiche leggende la spada metteva alla prova l'eroe, valutando così il suo ardimento e la sua forza spirituale, per condurlo sulla via dell'Iniziazione ai Piccoli e Grandi Misteri.

Nei miti e nei racconti non ci sono solo moltissimi riferimenti alle armi e in particolare alle spade, ma anche alla loro forgiatura.

Presso i Celti, i fabbri godevano di una particolare importanza e occupavano un posto di rispetto nella gerarchia sociale accanto ai druidi. Gli artigiani erano stimati e considerati come persone di alto rango all'interno della società.

La loro arte era circondata da un alone di mistero e abilità soprannaturale. Il fabbro divino era una figura importante nella mitologia celtica. In Galles troviamo Gofannon, in Irlanda, invece, Goibhniu. Quest'ultimo forgiava per gli altri Déi armi magiche, che non fallivano mai un colpo. Inoltre presiedeva il banchetto dell'Oltretomba e tutti coloro che vi partecipavano diventavano immortali.

E' fondamentale il simbolismo associato al lavoro di questi artigiani. Essi, infatti, erano in grado di estrarre il metallo dalla materia grezza tramite il fuoco, l'acqua e le loro capacità. Perciò come il fabbro possedeva questo potere di trasformazione nei confronti del minerale grezzo, così la spada aveva il potere di plasmare l'eroe, facendolo cambiare e crescere durante il proprio percorso, proprio come l'acqua e il fuoco sul metallo.

Spesso le armi magiche degli Déi e degli eroi vengono messe in relazione al sole e al fulmine. Quest'ultimo, soprattutto, per i Celti , rappresentava l'arma del dio del cielo. I fulmini, come il sole, rappresentano il fuoco celeste, una forza ambivalente, benefica e al contempo distruttiva. Nonostante tutto ciò, le armi degli Déi e degli eroi erano di tipo convenzionale, solitamente lunghe o a forma di raggio, come il giavellotto, la freccia, la spada, la sbarra di ferro, la clava, ecc.. Ad esempio Lugh porta con sé il magico giavellotto che, come l'infallibile spada di Nuadu, fa parte dei tesori dei Tuatha Dé Danann. Mac Cecht combatte sia con il giavellotto grondante di sangue che con la spada che sprizza scintille. Le spade di Cu Chulainn e Fionn si illuminano al buio ed, entrambe, sembrano essere precursori della famosa Excalibur di Artù.

Molto spesso, nella letteratura, le spade possedevano un nome, una personalità, quindi, che prescindeva dalla mano di chi l'avrebbe impugnata. Ne ricordiamo alcune.

Molto famosa è la spada di Ferghus mac Róich, mitico eroe irlandese che compare prevalentemente nel Táin Bó Cuailnge e nei racconti ad esso collegati. Ferghus possedeva caratteristiche sovrumane: aveva la forza di 700 uomini, era alto come un gigante, era in grado di consumare in un pasto sette maiali, sette cervi, sette mucche e bere sette tinozze di liquore. La sua spada, Caladbolg o Caladcholg, non poteva non avere caratteristiche speciali, infatti essa era magica ed era in grado di diventare lunga come l'arcobaleno.

Anche Manannán mac Lir, figlio del dio irlandese del mare Lir, possedeva una spada famosa. Manannán, oltre ad essere anch'egli un dio marino, era anche un maestro di destrezza, saggezza, inganno, illusione e magia. La sua arma era Fragarach (“Colei che Risponde”), spada che poteva penetrare qualunque armatura. Di questa arma, inoltre, si diceva che, puntata alla gola di qualcuno, lo obbligasse a dire la verità, da cui il nome di “ Colei che Risponde” Il guerriero divino Lugh si fece prestare questa terribile spada, assieme ad altri oggetti magici, per aiutare i Tuatha Dé Danann a sconfiggere i Fomori.

Nuadu era un re irlandese appartenente alla stirpe dei divini Tuatha Dé Danann. Nella Prima Battaglia di Magh Tuiredh, tra i Tuatha Dé Danann e i Fir Bholg, Nuadu perse un braccio e per questo motivo dovette lasciare il trono: non soddisfava più i criteri di perfezione fisica assolutamente necessari per regnare. Il fabbro-medico ( questo evidenzia quanto importante fosse per i Celti la figura del fabbro) Dian Cécht gli forgiò però un braccio d'argento e quindi Nuadu potè riconquistare il suo trono. Da quel momento fu conosciuto come Nuadu argat lámh, Nuadu dalla Mano d'Argento. Questo re divino possedeva la Claíomh Solais, la Spada di Luce, un'arma leggendaria che brillava splendente, invincibile in battaglia e in grado di tagliare un corpo in due. Era uno dei tesori che i Tuatha Dé Danann portarono in Irlanda assieme alla lancia di Lugh, al Calderone del Dagda e alla Pietra del Destino.

L'arma più conosciuta di tutta la mitologia celtica è Excalibur, Caledvwlch o Caledfwlch in gallese, la spada di Re Artù. Questa viene chiamata così da Artù stesso fin dall'antico racconto di 'Culhwch e Olwen'. Il nome Excalibur significa in grado di tagliare l'acciaio e il suo fodero aveva il potere magico di proteggere il suo proprietario dall'essere ferito; è il furto del fodero da parte di Morgana la Fata che porta, alla fine, alla morte di Artù. Sebbene Excalibur sia identificata con la spada nella roccia, specie nelle versioni recenti del mito arturiano, in numerose opere sono due spade distinte. La versione in cui Artù estraeva la spada dalla roccia apparve per la prima volta nel Merlino, di Robert de Boron. Malory, però, ne La morte di Artù, scrisse che la spada che era stata estratta dalla roccia non era Excalibur, poiché Artù aveva rotto la sua prima spada in uno scontro contro re Pellinor. Artù, infatti, ricevette una nuova spada dalla Dama del Lago, e questa era chiamata esplicitamente Excalibur: una spada diversa dalla prima.


In realtà l'importante è capire il vero significato che queste armi portavano in sé. Dagli esempi precedenti è chiaro che queste armi, così speciali, non potevano essere consegnate a uomini “normali”, ma venivano assegnate ad eroi, personaggi forti e carismatici, che rispecchiavano al meglio le qualità richieste per poter percorrere i Sentieri Iniziatici.

La spada poteva rappresentare anche il segno di una missione dinastica, un messaggio inviato dall'Oltretomba per chiamare un eroe "eletto" ad adempiere una missione. Quindi la spada porta con sé un antico rito di elezione reale, in cui si manifestano le volontà nascoste delle potenze dell'Oltretomba: una vera e propria predestinazione che grava sull'eroe.

Il “ricevere le armi” era un rito di passaggio importantissimo per gli uomini che passavano dall'essere bambini ad adulti. Nel quarto ramo dei Mabinogion, ad esempio, Arianrhod impone un geís a suo figlio Llew: nessuno, al di fuori di Lei, avrebbe potuto consegnargli le armi. Il ragazzo si sentì molto umiliato dal non poter avere né armi, né cavallo e per risolvere la situazione suo zio Gwydyon si vide costretto a creare un sotterfugio per ingannare Arianrhod.

Il passaggio da bambini ad adulti, non solo rendeva gli uomini in grado di usare le armi, ma anche di comprenderne il significato più profondo. Capire che solo dopo un intenso lavoro e allenamento, come quello che il fabbro opera sulla materia grezza, si può arrivare a brandire ed essere, allo stesso tempo, la spada. Forse, ecco perché era considerata una cerimonia così importante: rappresentava non solo uno sviluppo fisico, ma a anche una crescita spirituale.

Questo rito di passaggio, in mitologia, poteva avvenire anche più volte. Ad Artù, ad esempio, come detto precedentemente, vennero consegnate due armi, la Spada nella Roccia e la Spada del Lago. Ognuna di queste potrebbero simboleggiare la sua crescita ed il passaggio da una fase all'altra della vita, che lo porteranno ad essere l'eroe per antonomasia.

Dominique Viseaux, nel suo “L'iniziazione cavalleresca nella leggenda di Re Artù” spiega: “ (...)La spada si adatta sempre perfettamente al cavaliere ed avverrà quindi, di conseguenza, che questi dovrà cambiarla nel corso della sua ricerca, essendo pervenuto ad una tappa superiore della conoscenza del Sé”.

Quindi la spada non deve essere solo vista nel suo più comune significato di forza ed ardimento, ma anche nell'accezione più nascosta di conoscenza, trasformazione e consapevolezza.

La spada nella Tradizione Avaloniana.

“Dovete essere nel vostro cuore ciò che volete diventare. Dovete fare esperienza interiore di ciò che desiderate che si manifesti esteriormente nella vostra vita!”Kenneth Meadows.

La Tradizone Avaloniana affonda le sue radici nello studio della cultura e mitologia celtica. Ecco perchè quando si vuole parlare del significato della spada nella Tradizione Avaloniana è necessario conoscere cosa rappresentasse per i Celti quest'arma.
Secondo questa Tradizione, a Beltane si affronta la Riemersione, Stazione del Ciclo di Guarigione legata a Blodeuwedd, all'Aria e alla Fonte Bianca di Glastonbury. E' questo il periodo in cui si parla di “trarre la spada”.

Chi estrae la spada? Chi ne è degno?

Solo colui che ha attraversato il pericolo della Discesa e del Confronto. Perchè? Perchè la spada è energia, è forza, è il simbolo della Sovranità. Nei miti tardi essa viene consegnata al re sacro, prescelto (Artù ad esempio). Ma la verità è che la spada viene consegnata a chiunque ottenga la Sovranità, e Blodeuwedd è Sovranità. Nel mito non c'è solo un aspetto maschile (il re) e femminile (la sacerdotessa che con le nozze sacre legittima il re a portare la spada sacra), ma c'è proprio un aspetto interiore ad ogni essere umano: la parte ombrosa di noi stessi che viene accolta ed assimilata dalla parte luminosa, e trasformata (poichè nulla si distrugge) in nuova forza e nuova energia. Compiendo questa assimilazione durante la Discesa ed il Confronto, il Viandante acquista la Sovranità e risponde alla domanda di Blodeuwedd: Chi sei?

Questo emblematico oggetto rappresenta il momento in cui ci si deve spogliare del superfluo per vivere il presente. E' necessario tagliare ed eliminare certi aspetti della nostra vita, qualunque forma essi abbiano. Bisogna imparare a lasciare germogliare la nostra anima, far emergere la forza dalla terra.

Durante la Discesa le cose che hanno fatto il loro tempo, che ormai non ci appartengono, ci cadono di dosso quasi da sole, come foglie autunnali, inutili orpelli,che ci sono solo di intralcio nel nostro Cammino. Non ci sono di nessuna utilità per arrivare in profondità. A primavera, invece, estraiamo la spada. Adesso, con questo strumento tra le mani, siamo noi che decidiamo di cosa liberarci e cosa tenere. Proprio come il giardiniere che opera sulla pianta con saggezza grazie all'esperienza acquisita con suo mestiere, così siamo noi a decidere quali rami vogliamo recidere, quali potare solo leggermente e quali lasciare così come sono. La consapevolezza per poter agire in questo modo ci viene proprio dal cammino intrapreso durante la Discesa ed il Confronto: non siamo più esattamente le stesse persone che eravamo prima di scendere ed immergerci ancora una volta nelle profondità del calderone di Ceredwen.

La spada è uno strumento potente, la sua lama “trasporta” l'energia e la volontà di chi la impugna fino alla punta. Estrarre la spada è come attraversare un ponte, essa ci dà la forza che ci permette di superare il vecchio e dirigersi verso il nuovo. E' un ponte tra noi e la terra, tra noi e il passato, il presente e il futuro.

Ogni cambiamento, soprattutto radicale, può portare con sé dolore, ma questo è parte integrante del proprio cammino. Riuscire a lasciarsi alle spalle il buio dell'inerzia ci permette di percorrere nuovi sentieri. Grazie alla l'energia simboleggiata dalla spada possiamo vedere le cose nella giusta prospettiva e comprendere meglio gli impedimenti che ostacolano il nostro progresso. E' solo nel presente che possiamo attivare il nostro futuro. Quando traiamo la spada non dobbiamo rinnegare il nostro passato, ma dobbiamo semplicemente inglobarlo, liberandoci da tutto ciò che è superfluo e che ci tiene ancorati.

Impugnare la spada e tirarla fuori dalla roccia, come fece Artù, significa far sì che la forza emerga dalle nostre profondità e si manifesti fuori e dentro di noi.

Purtroppo non possiamo pensare di compiere un'azione senza subirne le ripercussioni, proprio per questo dobbiamo essere consapevoli di quello che stiamo facendo. E' la nostra “consegna delle armi”, dobbiamo dimostrare di essere pronti ad entrare in una nuova fase della nostra vita, così come i fanciulli erano pronti a diventare adulti.

L'uscire dal Confronto, dal calderone di Ceredwen, dal ventre della terra e recidere parte del nostro passato, può evocare l'immagine del parto, il nostro primo distacco. Il taglio del cordone ombelicale, che che ci legava al ventre materno, ci permette di cominciare una nuova vita. Un taglio drastico che ci separa da un luogo sicuro, ma che ci consente di imparare a respirare e a nutrirci autonomamente. Abbiamo eliminato un legame e ora siamo pronti ad affrontare il futuro. Sarà faticoso, ma doveva essere fatto. Così ad ogni Ciclo ci separiamo da quello precedente per cominciarne uno nuovo, leggermente cambiati, leggermente diversi.

La spada non serve solo per tagliare quello che è diventato inutile. Essa ci fornisce l'energia per mostrare il carattere e le nostre capacità, per proteggere le nostre priorità e e difenderci dalle cose che ci fanno male. Ci insegna, insomma, a non perdere di vista le cose importanti e ci sprona all'azione, risvegliandoci dal torpore dell'inverno e del Confronto.

Ci aiuta a scoprire le nostre possibilità attraverso un risveglio messo in atto dalle nostre motivazioni che, più sono intense, più ci permetteranno di esprimere la nostra forza, un'energia trascendente che regola la nostra natura terrena.

La spada ci fornisce il senso della direzione e soprattutto il coraggio di seguirla fino alla meta finale, per spazzare via tutto quello che ostacola nel vivere quotidiano per giungere all'armonia con sé stessi e con gli altri. Quindi una forza non solo di difesa, ma anche di sacrificio che ormai non ha più ragione di essere.

Luci ed ombre di ognuno devono aver trovato un punto di equilibrio all'interno del nostro io per poter passare all'azione e fare un passo in avanti. Ogni lama ha due lati, il filo dritto e il filo rovescio, e proprio come le facce di una medaglia ci insegnano che esiste il risvolto positivo e negativo di tutte le cose. Queste facce della lama rappresentano, anche, l'Intuito e l'Intelletto, così come il lavoro di discriminare che può avvenire sia in base della ragione che in base all'istinto. Raggiungere l'equilibrio tra questi componenti, che non possono mai essere scissi, è uno degli obiettivi fondamentali del Ciclo di Guarigione Avaloniano ed è anche alla base delle Antiche Armonie.

Le lame vengono create nel Fuoco, ma in realtà è forte la loro connessione con l'Aria, poiché è lì che diventano strumenti attivi della nostra volontà.

“Trarre la spada” significa conquistare qualcosa di più del proprio Sé, indispensabile per la propria crescita personale; in sostanza si riscopre e ci si riappropria di un pezzetto della propria Sovranità interiore.

Una volta esaurita la necessità dello “scontro” la spada deve essere reinserita nel suo fodero, e noi stessi siamo quel fodero. Dobbiamo far sì che quella comprensione illuminata, che ci ha fatto agire con consapevolezza, che ci ha permesso di spogliarci dei rami secchi diventi parte di noi, della nostra vita quotidiana.

La spada deve mutare forma nella sua custodia, ovvero in noi, per poter essere estratta di nuovo nel Ciclo successivo.

Articolo redatto da Euphorbia sulla base delle discussioni del gruppo di studio 'Sentieri di Avalon'.
Un particolare ringraziamento a Argante, Elys, Dagmaar, Berkana, Hexgreen, Euphorbia, Kendra, Violet, Marin, Anya, Fairy, Ghianda, Morgelyn, Lelaina

Fonti:

Agrati G. Magini M.L.(1982). Saghe e leggende celtiche. Oscar Mondadori.

Botheroyd S. e P.F. (2000). Mitologia celtica. Lessico su Miti, Dèi ed Eroi. Keltia Editrice.

Green M.J. (2003). Dizionario di mitologia celtica. Tascabili Bompiani

Morel C. (2006). Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze. Ed. Giunti

Viseux D. (2004). L'iniziazione cavalleresca nella leggenda di Re Artù. Edizione Mediterranee.

Walter P. (2005). Artù. L'orso e il re. Ed. Arkeios.

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