Ynis Afallach Tuath

III RAMO

Articoli / I Mabinogion e altri testi gallesi
Inviato da Caillean 22 Feb 2008 - 14:08

Manawyddan, “figlio del mare” è una divinità celtica, fratello di Bran.
In questo ramo del Mabinogion si racconta del suo ritorno in Britannia
dopo la disastrosa spedizione di Irlanda
e la morte conseguente di Bran.

In Britannia il trono è stato usurpato da Caswallan,
e Manawyddan non tollera di vivere alla corte del traditore,
perciò Pryderi, figlio di Pwyll, gli offre in sposa la madre vedova Rhiannon,
che porta in dote sette cantoni nel Dyfed.
Manawyddan, Rhiannon, Pryderi e sua moglie Cigfa si stabiliscono cosi nel Dyfed,
ma un giorno, durante una passeggiata,
si siedono sul tumulo fatato di Arberth:
subito una nebbia fittissima scende sul Dyfed e, quando scompare,
i quattro protagonisti capiscono di essere rimasti gli unici abitanti di quella terra,
diventata improvvisamente sterile, deserta ed inospitale.
Per sopravvivere si dedicano alla caccia,
ma dopo due anni si stancano di quella vita di stenti e solitudine
e decidono di recarsi nelle terre vicine.
In esse sono costretti a sopravvivere come artigiani, producendo inizialmente selle.
Le selle di Manawyddan e Pryderi, però, sono cosi belle e finemente guarnite
che suscitano la gelosia degli altri artigiani che decidono di ucciderli.
Quando i due si accorgono del pericolo, sono costretti a scappare
con le rispettive mogli in un paese vicino, dove iniziano a produrre scudi.
Ma la vicenda si ripete e i quattro fuggono in un altro paese dove fabbricano scarpe.
Di nuovo, gli artigiani invidiosi progettano di ucciderli
e Pryderi è cosi furioso che vorrebbe cercare vendetta,
ma Manawyddan lo trattiene, ricordandogli che:
“la libertà è meglio della prigionia”,
infatti se uccidesse gli artigiani verrebbe punito con la detenzione.
Così i quattro protagonisti decidono infine
di tornare nel Dyfed, dove si dedicano nuovamente alla caccia.

In questa prima parte del racconto, notiamo un chiaro collegamento
sia al primo che al secondo ramo dei Mabinogion.
Pryderi e Rhiannon sono di nuovo protagonisti di eventi fantastici
che occorrono nel Dyfed, ed, in particolare, sul tumulo delle fate di Arberth:
l’altromondo torna a manifestarsi nelle loro vite.
Manawyddan è una divinità chiaramente collegata ala mare ed alle acque,
e secondo la tradizione è anche il re dell’altromondo,
un abilissimo mago capace di mutare le proprie sembianze,
il detentore della magica Coppa della Verità,
corrispondente dell’irlandese Manannan Mac Lyr. Ricorderemo che anche Rhiannon è regina dell’altromondo,
donna del Sidhe che decide di abbandonare il suo mondo
per vivere col principe mortale Pwyll.
Sposando Manawyddan, ricostituisce la coppia regale e divina dell’altromondo.
E’ interessante notare come anche nella tradizione greca,
la dea Demetra, assimilabile a Rhiannon in quanto entrambe simboli
della Sovranità della terra e con un cavallo come animale totemico,
sia legata ad una divinità marina, Poseidone,
con il quale si congiunge in forma di cavalla e con il quale concepisce due gemelli.
Il mare e l’acqua sono da sempre ritenuti simboli dell’aldila,
il mondo degli spiriti e delle creature fatate.
Cosi in questa storia possiamo intuire parallelismi fra la tradizione classica
e quella celtica: Rhiannon ha le stesse funzioni di Demetra
e della figlia Persefone, sposa di Ade;
mentre Manawyddan può essere assimilato allo stesso Ade oltre che a Poseidone.
Il discorso può apparire intricato ma bisogna ricordare
che tutte queste divinità altro non sono se non riflessi di un unico archetipo,
scomposto in più figure per renderlo più facilmente comprensibile alla mente umana.

Vediamo ora come prosegue il racconto.
Durante una seduta di caccia, Manawyddan e Pryderi inseguono una verro bianco,
chiaro elemento dell’altromondo e collegato ai maiali che nel primo ramo Arawn,
signore dell Annwn, appunto, l’oltremondo, regala a Pwyll in segno di riconoscenza.
I due eroi si trovano al cospetto di un meraviglioso castello
che appare disabitato ed il verro è sparito.
Pryderi, incuriosito, si inoltra nel castello, nonostante Manawyddan
lo avverta di non farlo poiché capisce che si tratta
di un prodigio degli esserei fatati. Pryderi, giovane incurante del pericolo,
trova proprio nella grande sala centrale del castello
una meravigliosa fontana di marmo con una coppa d’oro sul bordo,
sospesa al soffitto da pesanti catene.
Incantato, non può fare a meno di toccarla e subito le sue mani
restano attaccate alla coppa immobilizzandolo
ed egli perde il dono della parola.
Manawyddan lo aspetta all’esterno, ma quando si fa buio, non vedendolo tornare,
decide di andare all’accampamento e raccontare tutto alle donne.
Rhiannon si infuria poiché ha lasciato solo il figlio
e chiede di essere condotta al castello.
Entra anch’essa e , come il figlio, rimane attaccata alla coppa d’oro,
incapace di proferire parola.
Manawyddan vede scendere una fitta nebbia ed il castello scompare.
Così torna nuovamente indietro e racconta l’accaduto a Cigfa
che si dispera e teme per la sua castità in compagnia di Manawyddan,
ritenuto secondo la leggenda un dio dalle abitudini per cosi dire libertine,
che , come l’ellenico Zeus, amava giacere in compagnia
delle fanciulle mortali generando eroi.
Manawyddan tuttavia la rassicura, dicendo che non la toccherà mai
in rispetto a Rhiannon e Pryderi e si dimostra così leale come Pwyll
nei confronti della moglie di Arawn nel primo ramo,
che viene cosi continuamente richiamato alla memoria.

Questa parte della storia è molto interessante:
fa esplicito riferimento ad un castello fatato in cui è nascosta una coppa d’oro.
Chiunque tocchi la coppa resta inesorabilmente attaccato ad essa
e perde la capacità di parlare. Essa è un chiaro collegamento al Graal,
la coppa santa che ispira pazzia o beatitudine e lascia senza parole,
in pura ed estatica contemplazione della divinità.
Rhiannon ed il figlio Pryderi sono di nuovo tenuti prigionieri,
come nel primo ramo, e di nuovo Pryderi si rivela essere un aspetto
dell’archetipico Mabon, il Figlio della Madre,
il sole bambino che viene tenuto prigioniero
e deve essere liberato, simbolo del ciclo stagionale.
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In questo ramo del Mabinogion possiamo notare più che altrove
la chiara influenza medioevale:
la coppa perde il suo significato originale di ventre materno
per divenire il simbolo puro e sacro dell’amore divino.
I connotati ctoni e terreni, sessuali, del calderone di Ceridwen,
si perdono e il calderone diventa un calice,
un recipiente sostenuto da terra, addirittura appeso e mezz’aria con pesanti catene,
del tutto svincolato da aspetti terreni,
elevato alla pura contemplazione metafisica.
La fontana di marmo, richiama la fonte dell’eterna giovinezza,
la salvezza eterna, e il castello incantato che nasconde il calice
ci fa pensare al mitico castello del Re Pescatore,
il re ferito che vive in una terra desolata, in attesa dell’eroe Parsifal.
In un certo senso, il giovane e sprovveduto Pryderi può essere associato
al giovane e stolto Parsifal che non sa porre le domanda esatta
per ottenere il graal e salvare il re e la terra.
Il tema della terra desolata, inoltre,
ricorre estesamente per tutto il terzo ramo del mabinogion.

Il nostro racconto continua con Manawyddan e Cigfa che tornano nel Dyfed,
dopo un breve periodo in cui Manawyddan cerca di mantenersi facendo di nuovo il ciabattino.
Non possedendo più attrezzature idonee alla caccia,
Manawyddan decide di provare con l’agricoltura:
semina tre campi ma al momento della raccolta del grano
accade un ennesimo prodigio:
siamo vicino a Lughnasadh, il tempo del raccolto dei cereali,
nel pieno dell’estate ma quando Manawyddan si reca nei campi
trova solo i fusti del grano.
Si mette di guardia una notte per capire
chi gli stia rubando il prezioso frutto delle sue fatiche
e si accorge che si tratta di un piccolo esercito di topi,
che ogni notte fa razzia nei suoi campi.
Manawyddan riesce a catturare uno dei topi, il più grasso, che,
appesantito dal ventre prominente non è veloce come gli altri nella fuga.
Il nostro eroe decide una punizione molto singolare per la povera bestiolina:
costruisce una piccola forca di legno proprio sul tumulo di Arberth
per impiccarci il topo.
E ancora una volta sul magico tumulo delle fate
l’altromondo si congiunge al mondo dei mortali:
un chierico passa di lì e chiede a Manawyddan di lasciare libero il topo,
offrendogli una piccola somma di denaro ma quest’ultimo rifiuta.
Passano allora un prete e addirittura un vescovo
che offrono a Manawyddan cifre sempre più alte per liberare la bestiola
ma quest’ultimo non cede. Il vescovo chiede così a Manawyddan
di stabilire egli stesso il prezzo per il riscatto
ed egli dice di volere la liberazione di Pryderi e Rhiannon,
lo scioglimento del sortilegio che rende desolato il Dyfed,
e infine la possibilità di conoscere l’identità del topo tanto prezioso.
Il vescovo rivela allora di essere il cugino di Gwawl ap Clud,
il promesso sposo di Rhiannon sconfitto con l’ingegno e l’inganno
da Pwyll nel primo ramo del Mabinogion.
Il falso vescovo, desiderando vendicare il cugino,
aveva trasformato tutta la sua corte in topi affinché
devastassero i campi di Manawyddan,
ma il topo che era stato catturato era sua moglie,
appesantita da una gravidanza avanzata.
Manawyddan acconsente a liberarla ma chiede come ulteriore condizione che,
dopo il rilascio di Rhiannon e Pryderi,
non si verifichino ulteriori vendette da parte della famiglia di Gwawl
per l’insulto subito nel passato.
Il topo viene liberato e, nel medesimo istante,
ricompaiono anche Rhiannon e Pryderi
e la terra torna a dare frutti in abbondanza e ad essere ripopolata.
Alla fine della storia, viene detto che Pryderi e Rhiannon
erano stati imprigionati nell’Altromondo
e sottoposti ad una punizione:
Rhiannon doveva portare i pesanti collari degli asini dopo l’aratura dei campi
e Pryderi era costretto ad aggirarsi per il castello indossando
i maniglioni della porta d’ingresso intorno al collo.

Anche quest’ultima parte del racconto è ricca di elementi significativi:
innanzitutto apprendiamo la sorte toccata a Pryderi e Rhiannon.
Per la seconda volta, madre e figlio sono sottoposti ad una ingiusta punizione
e per di più rapiti nell’altromondo.
Rhiannon viene di nuovo fortemente associata al suo animale totemico,
il cavallo, e Pryderi torna ad essere il giovane figlio della madre,
il piccolo puledro, in altre parole l’onnipresente Mabon,
divinità rappresentante il sole rinato che nei freddi mesi invernali
viene “rapito” nelle buie terre dell’aldilà.
Questa è una metafora molto importante e presente,
a livello mitolgico, in moltissime culture di tutto il mondo,
basti ricordare semplicemente la leggenda greca di Demetra
e della figlia Persefone (Cerere e Proserpina per i romani),
che viene rapita da Ade nel mondo dei morti
e torna dalle madre solo per sei mesi all’anno riportando la primavera
sulla terra isterilita dal dolore di Demetra.
Oppure il mito greco di Apollo e Admeteo:
Apollo è una divinità solare che viene rapita da Admeteo,
analogo di Ade, nel suo regno sotterraneo ,
dove questi è costretto a lavorare come contadino e pastore.
In tutti questi racconti troviamo da una parte il tentativo da parte degli antichi
di dare una spiegazione al ciclo stagionale del sole,
dall’altra metafore profondamente spirituali della condizione umana.
Il tema del giovane dio solare rapito nell’oscurità,
della madre disperata, della liberazione da parte di un eroe, sia egli Zeus,
o Artù o Manwyddan nasconde significati analoghi per popoli di zone geografiche assai distanti
e si rivela essere un vero e proprio archetipo:
quello della luce che deve affrontare necessariamente un periodo di tenebra
per tornare a brillare ancora più splendente,
la fiamma che si rivela più luminosa nel momento della maggiore oscurità,
la morte rituale del re ad ogni ciclo
per permettere la sopravvivenza della terra.
Il concetto del sacrifico, della lotta continua con la nostra oscurità,
l’accettazione dei ritmi naturali di alternanza buio/luce,
la morte che precede necessariamente la rinascita sono temi ubiquitari
ancora profondamente radicati nel nostro inconscio.

Il Mabinogion ha il grande pregio di raccogliere tutti questi temi mitologici
e di presentarli in maniera leggermente differente in ognuno dei quattro rami,
al fine di mostrarne ogni sfaccettatura e di portarci gradualmente
ad una più completa comprensione.
Analizzando i numerosi significati celati strato dietro strato fra le righe
possiamo immergerci nei miti che ancora oggi ci affascinano,
ci fanno riflettere e ci spingono a ricercare il significato profondo
del nostro essere qui e ora,parafrasando una celebre frase,
uomini con un percorso spirituale da compiere o spiriti con un percorso terreno.

Sempre in bilico fra luci e tenebre di noi stessi e del nostro tempo.


-Caillean-

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