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Ynis Afallach Tuath |
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La visione celtica della morte |
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Sabato, 23 Gennaio 2010 - 10:03 - 14001 Letture |
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“Là dove insegnate che le anime non cadono nelle silenti sedi dell’Erebo o nei pallidi regni del sotterraneo Dite, ma che lo spirito passa a reggere altre membra in un altro mondo: la morte, se è vero ciò che insegnate, è il punto intermedio di una lunga esistenza".
Lucano Pharsalia I, 450-458
Definire esattamente e inoppugnabilmente il concetto di morte e reincarnazione per gli antichi Celti è un' opera ardua, se non addirittura impossibile. Date le enormi difficoltà incontrate da archeologi e storici nel ricostruire, sia pur con vari gradi di approssimazione, la vita celtica nella sua interezza, possiamo solo sperare che il quadro nato dalla lettura dei testi a nostra disposizione e dagli studi comparativi sia il più ragionevolmente possibile vicino a quella che era la situazione reale.
Quasi tutte le testimonianze antiche mettono in evidenza la fede dei Celti in una vita ultraterrena.
Lo stesso Cesare allude a come la dottrina druidica facesse riferimento alla trasmigrazione delle anime: "I Druidi attribuiscono particolare importanza alla credenza che l'anima non perisca ma passi dopo la morte da un corpo all'altro. Questo anche per stimolare i guerrieri a non temere la morte".
Lucano afferma che i Celti consideravano la morte semplicemente come un momento di interruzione di una lunghissima esistenza, come un ponte tra una vita e l'altra.
Infatti il tema della rigenerazione o reincarnazione corre come un filo continuo attraverso la tradizione mitologica celtica. La morte non veniva considerata come la fine dell'esistenza di una persona, ma era vista come il punto centrale di una lunga vita. Dopo la morte, che avveniva in questo mondo, le anime si dirigevano nell'Altromondo, che non assomigliava però all'Aldilà della tradizione cristiana. La catena celtica della vita era un nodo infinito di possibilità e di variazioni. Nel ciclo del tempo i mondi esistenti oltre al nostro potevano essere infiniti e gli esseri potevano passare da uno all'altro, perciò l'Altromondo descritto dai Celti è soltanto uno dei mondi infiniti. La vasta rappresentazione di questo mondo nelle leggende celtiche, può dare di conseguenza, solamente delle visioni frammentarie di possibili idee riguardanti il mondo degli esseri rinati.
La cosmologia dei celti contiene altri elementi derivati da credenze indigene e tra questi il principale è il mondo dell'Oltretomba. A causa dell'accumulo di tradizioni è spesso difficile districare l'Altromondo dal Mondo Sotterraneo, eppure le due tradizioni sono distinte.
La potenza ctonia del mondo dell'Oltretomba non è mai molto lontana dall'immaginazione celtica, perché mentre il beato aldilà può trovarsi a molti giorni di navigazione verso ovest, sotto la terra esiste un posto più antico, più originario.
In tutti i popoli che credono nella trasmigrazione delle anime, si ritrovano idee riguardanti un mondo dell'aldilà, che può dunque essere collocato in tutte le possibili forme misteriose della natura: in caverne, boschi, paludi, montagne, colline, vallate, rocce oppure in ambienti allora inaccessibili, come in cielo, nell'acqua e sulle isole. Tutti i diversi mondi dell'aldilà, però, avevano degli aspetti comuni e caratteristici, come i frutti, gli animali o i colori. Diverse divinità erano associate alla morte e all'Oltretomba, ad esempio il dio romano-celtico Dispater o l'irlandese Donn.
L'Oltretomba poteva essere chiamato in molti modi, Terra dell'Eterna Giovinezza, il Regno dei Beati, Il Regno degli Antenati, l'Ultima Thule. In Galles era l'Annwn, governato da Arawn, mentre in Irlanda poteva essere situato in luoghi diversi, isole nel mare o Sidhe sotteranei, dimore dei divini Tuatha Dé Dannan.
L'Oltretomba era un luogo fuori dal tempo e dallo spazio ed era considerato la residenza degli spiriti, nonostante ciò, spesso aveva degli ingressi nel nostro mondo. La letteratura è piena di allusioni ad eroi attratti da esseri soprannaturali nell'Oltretomba e spesso veniva chiesto ad un mortale di combattere al posto del signore del luogo, come accadde a Pwyll nel Primo Ramo dei Mabinogion. Era un luogo dai poteri eccezionali, gli umani che vi soggiornavano prima della loro morte rimanevano giovani, senza invecchiare, fino al momento in cui tornavano nella terra degli uomini. Inoltre in questi luoghi il tempo era ciclico, nel senso che le grandi festività non erano la commemorazione di un evento mitico del passato, ma l'evento stesso. L'Oltretomba poteva essere raggiunto in vari modi, Bran, nel Viaggio di Bran, vi arrivò su una barca attraverso il mare, ma ci si poteva arrivare anche attraverso una grotta od un lago. Anch'esso aveva le sue stratificazioni sociali, al cui apice erano coloro che governavano la natura e i suoi fenomeni e il cui regno si trovava nelle pieghe più alte e inaccessibili del mondo spirituale, mentre negli strati inferiori si trovavano tutti gli altri, esseri animali e umani, che privi del corpo, vagavano sulla terra in cerca di una nuova dimora. Ecco perché a volte era possibile il passaggio da un mondo all'altro, come, ad esempio, durante la festa di Samhain, periodo in cui i confini tra i mondi venivano temporaneamente annullati. L'Oltretomba era comunque un luogo felice, la fonte di ogni sapere, dove vi era pace ed armonia, nonostante continuassero i combattimenti tra eroi.
Per quanto riguarda i paradisi dell'Ovest, dove risiedeva la Dea, sono spesso descritti come giardini nei quali crescono alberi di mele della vita eterna. Questo Altromondo era sempre situato nelle isole alle estremità della Terra e i Celti chiamavano questo "Paradiso" dell'Ovest Avalon, l'Isola di Avallon o Emain Ablach o Insula Pomorum. Era la Terra delle Mele, terra governata dalle Nove Sorelle, tra cui Morgana.
I Re irlandesi ricevevano la mela dell'immortalità e lasciavano il nostro mondo al tramonto insieme alla Dea.
In questi luoghi non esistevano più le tre funzioni necessarie all'instaurazione della società divina sulla terra, poiché là, questa società divina esiste nella sua perfezione. Quindi non più classi, non più lavoro, poichè lavoro è sofferenza, che è indispensabile per arrivare al superamento, e là il superamento si è già compiuto. Non vi è più vecchiaia poiché il tempo non esiste più, almeno nella sua versione relativa. Non vi è più morte, poiché la morte è trascesa.
Spesso si ritiene che i Celti credessero nella reincarnazione: questo è vero anche se il quadro reale è assai \più complesso. Infatti nella mitologia celtica si combinano la metamorfosi, cioè il cambiamento di forma, la metempsicosi, cioè il passaggio da un corpo all'altro dopo la morte e la reincarnazione, cioè la rinascita. Gli eroi più importanti hanno la facoltà di migrare tra i due mondi. Ad esempio si diceva che Artù riposasse ad Avalon in attesa di tornare fra i Britanni, la stessa cosa viene detta di Finn Mc Cumhail e di altri, il ritorno alla vita c'è è si ritrova in diversi miti. I saggi, come Taliesin ricordano tutte le loro vite passate, ricordano cosa sono stati, come hanno vissuto, dove sono stati. La conoscenza, la memoria dell'Anima ha reminiscenze di diverse e tante incarnazioni. Lo stesso Gwion, nelle sue trasformazioni, rappresenta tutti i passaggi, reincarnazione, metempsicosi, metamorfosi. E' stato lepre, uccellino, pesce e chicco, è stato Gwion Bach ed è divenuto Taliesin. Sono tutte rinascite alla vita, in forme diverse. Questa catena della vita risulta quanto più lontana dalle dottrine induiste o dal principio buddhista del Samsara, un susseguirsi di reincarnazioni concepito per raggiungere una fine bene accetta. La catena celtica della vita, invece, è un nodo infinito di possibilità e variazioni, dove inizio e fine si confondono. E se nel Cristianesimo, il mondo dell'aldilà si mantiene in una forma semplificata che distingue tra Inferno e Paradiso, nelle leggende celtiche insulari il comportamento tenuto nel mondo terreno non ha ha un ruolo per l'esistenza dopo la morte, piuttosto sembra si possa scegliere tra diverse possibilità di una vita piacevole oppure che queste si possano incontrare per caso. Quando si pensa all'aldilà celtico non si dovrebbe ragionare in maniera lineare, ma spiraliforme, secondo i Celti si oltrepassavano i mondi, da un piano dell'esistenza all'altro, accumulando sicuramente esperienze che arricchiscono e accrescono, ma senza che questo sia per forza lo scopo. Come una spirale si procede all'infinito, potendo passare anche negli stessi punti, ma a livelli differenti oppure si può scendere e tornare indietro verso il luogo da dove eravamo venuti e proseguire seguendo un altro percorso.
Le storie di personaggi come Tuan mac Cairill, Fintan ed anche Taliesin rappresentano la perpetua trasformazione degli esseri. L''Altromondo non è eterno, perché questa concezione risulterebbe in contrapposizione con la metafisica dei Celti. I druidi insegnavano che tutto è in perpetua trasformazione, la morte è solo l'inizio di una nuova vita e se niente muore niente rimane stabile. La morte esiste anche nell'Altromondo, ma non con il significato terrestre, ma come passaggio tra i mondi che sono infiniti. Markale, infatti, dice: “Ogni essere umano è dunque chiamato, per la sua essenza, per la sua natura, per la sua funzione, a transitare verso l'Altromondo.”
Note: Fonti:
Green M. (2003). Dizionario di Mitologia Celtica Tascabili Bompiani
Heinz S. (2000). Simboli dei celti. Ed. Il Punto d'Incontro
Markale J. (1991). Il Driuidsmo. Edizioni Mediterranee
Matthwes C. (1993). I Celti. Edizioni Xenia
Perini S. (2006). Simboli e riti delle donne celtiche. Ed. Psiche2
ARTICOLO A CURA DI:
Euphorbia, sulla base degli studi condotti nel gruppo di studio “Il Meleto”.
Un particolare ringraziamento a: , Abigail, Alessio, Berkana, Caillean, Euphorbia, Lelania, Fairy, Sylesia, Violet.
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Re: La visione celtica della morte
(Punti: 1)
da Elbereth 27 Gen 2010 - 19:29 (Info utente | Invia il messaggio)
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Articolo interessantissimo! Grazie!
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